Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma

Hamas costretta alla tregua: Gaza devastata, covi distrutti Israele blocca il ritorno della popolazione nel Nord della Striscia

Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma
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Non sono sonni tranquilli quelli nella Striscia: nel buio profondo del silenzio delle armi, dopo la liberazione dei primi ostaggi, i soldati di Israele e i terroristi di Hamas seguitano a fronteggiarsi. È un intervallo in cui tutto può succedere, i soldati avvertiti di conservare la massima allerta, sono rimasti tutti ai loro posti dentro il nord e sud di Gaza; i terroristi preparano in segreto le loro prossime mosse, qualsiasi gesto cinico e perverso è possibile. È sempre la guerra fatale nata da una strage mai vista dal popolo ebraico dal tempo della Shoah, e adesso giocata sulla pelle dei sopravvissuti, specie i bimbi piccoli, la carta preferita di Sinwar.

Inutile illudersi: la tregua non è in vista, solo un intervallo legato agli ostaggi, non si sa per quanti giorni oltre i quattro fissati. L'interruzione delle operazioni di guerra è per Hamas un guadagno che però segnala una sconfitta strategica: contro le previsioni di Sinwar, che si aspettava un'operazione limitata negli scopi e nel tempo come per le guerre precedenti, Israele ha cambiato volto. La decisione è stata quella di combattere una guerra di sopravvivenza che non consenta mai più a Hamas di conservare il suo potere sul territorio e la gente di Gaza. Fino ad ora il nord, centro decisionale strategico, è stato circondato, Sheik Jilin, Shati, Beit Hanun, Rimal e parte di Zeitun e Jabalia sono state conquistate. Le unità che le dominavano sono state eliminate, e così buona parte della leadership intermedia. I dieci battaglioni nel nord non esistono più. È difficile contare quanti dei membri delle 140 compagnie composte ciascuna da 100 armati sono stati cancellati, ma il panorama urbano è un incredibile spettacolo di devastazione, i rifugi, le abitazioni e le armi sono a pezzi. La ragnatela di tunnel sotto gli ospedali, così da garantire la protezione di scudi umani, la grande invenzione di Hamas, è stata in gran parte scoperta, e sgomberata di armi e uomini. Prima del cessate il fuoco l'esercito ha fatto saltare gli ingressi per impedire che gli uomini di Sinwar tentino di tornare a prendere possesso del nord e dei loro covi. Hamas ha chiesto di tornare a nord alla massa sfollata a sud dopo che Tsahal aveva chiesto di lasciare le zone di guerra; ci sono stati dei tentativi di tornare a nord fermati dall'esercito che ha fatto due morti.

Sinwar ha dunque accettato lo scambio costretto da una clamorosa sconfitta sul campo, anche a vedere indietreggiare gli amici che si aspettava intervenissero, dall'Iran agli Hezbollah a Assad fino agli iracheni che insistono solo nel bombardare le basi americane. Adesso Hamas cercherà di prolungare il silenzio e il divieto di sorveglianza aerea manipolando con la vita degli ostaggi il calendario e l'opinione pubblica israeliana e mondiale. Spera di riorganizzarsi e di spingerla sulla strada della tregua che consentirebbe all'organizzazione jihadista più pericolosa del mondo di restare in possesso di Gaza. Sinwar giocherà qualsiasi carta: ci saranno pesanti provocazioni per esporre Israele alla disapprovazione pacifista, azioni cosmetiche come quella di liberare 10 thailandesi e una filippina.

Ma Israele, pure nell'indicibile emozione del successo, per niente scontato, nel mettere i cittadini al primo posto, specie i bambini, sa che la maggioranza deve ancora tornare, e che i soldati restano per ora sulla sabbia di Gaza, finché Hamas non sia sconfitto.

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