Nuove frizioni tra Usa e Israele dopo le accuse di Benjamin Netanyahu sulle armi. Un funzionario del governo Usa ha spiegato alla Cnn che l'amministrazione Biden è «frustrata» dalle affermazioni del premier israeliano, le reputa «non produttive e completamente false». «Non sappiamo davvero di cosa stia parlando», ha precisato la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, ribadendo che dall'inizio della guerra è stata sospesa solo una spedizione di armi offensive all'alleato, mentre «tutto il resto continua a fluire regolarmente». Martedì, in un video su X, Netanyahu ha definito «inconcepibile che negli ultimi mesi l'amministrazione Usa abbia trattenuto armi e munizioni a Israele», salvo poi precisare l'indomani che le armi sollecitate a Washington stanno per essere spedite. Secondo Haaretz, gli Usa hanno cancellato una riunione ad alto livello con Israele sull'Iran che si sarebbe dovuta svolgere a Washington dopo le parole del premier.
«Gli americani sono furiosi. Il filmato di Netanyahu ha fatto molti danni», ha riferito un funzionario dello Stato ebraico. La Casa Bianca, tuttavia, ha smentito la notizia, e ha riferito a Nbc News che i dettagli dell'incontro non sono stati ancora definiti, «quindi nulla è stato cancellato». Limitandosi a precisare che durante la settimana si sarebbero tenuti appuntamenti con funzionari di Tel Aviv «su una serie di argomenti». Mentre due importanti esponenti democratici in Congresso hanno dato il via libera a una vendita di armi a Israele che comprende 50 jet F-15 per un valore di oltre 18 miliardi di dollari. Secondo il Washington Post dopo aver bloccato la vendita per mesi, il deputato Gregory Meeks e il senatore Ben Cardin (entrambi i massimi esponenti dem della Commissione esteri rispettivamente di Camera e Senato), hanno dato il via libera all'accordo sotto forte pressione dell'amministrazione Biden.
Nel frattempo l'attenzione si sta spostando verso il confine di Israele con il Libano, dove cresce il timore di uno scontro imminente tra lo Stato ebraico ed Hezbollah, con conseguenze difficili da prevedere, e non solo per il Medioriente. Gli Usa stanno lavorando per evitare una ulteriore escalation, con l'inviato speciale di Joe Biden Amos Hochstein che dopo la tappa in Israele è arrivato a Beirut proprio per incontrare la leadership ed esortare le parti ad evitare «un conflitto più grande». Nella serata di martedì, tuttavia, l'Idf ha annunciato che i piani operativi per un'offensiva in Libano sono stati «approvati e validati», accelerando «la prontezza delle forze sul terreno».
Poche ore prima, da Gerusalemme, era stato il ministro degli Esteri Israel Katz a evocare esplicitamente una «guerra totale che distruggerebbe Hezbollah e colpirebbe duramente» il Paese dei Cedri. Mentre ieri il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha tenuto un discorso trasmesso in diretta tv assicurando che «nessun luogo di Israele sarà risparmiato dai nostri missili» in caso di guerra totale, e «dovrà aspettarci via terra, via mare e via cielo». «Il nemico teme davvero che la Resistenza entri nella Galilea», ha proseguito, aggiungendo che si tratta di una «possibilità nel contesto di una guerra che potrebbe essere imposta al Libano».
Nasrallah ha minacciato pure Cipro, che intrattiene buoni rapporti con Beirut e Tel Aviv: «Aprire aeroporti e basi cipriote al nemico israeliano per prendere di mira il Libano - ha detto - significherebbe che il governo è parte in guerra».
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