Da una parte l'economia di una volta, quella che si vede e si capisce, che si indossa e, perché no, si beve. Dall'altra i colossi del web costruiti su algoritmi e astrazioni digitali. Da una parte il numero uno mondiale del lusso, Bernard Arnault, patron del gruppo Lvmh; di fronte a lui Jeff Bezos, fondatore di Amazon, tallonato dal Elon Musk, creatore di Tesla.
Nella mattinata di ieri ad Arnault era riuscita la sorpresa: il valore del suo patrimonio aveva superato quello di Bezos e il primo posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo era suo: 186,3 miliardi di dollari contro 186, un'inezia. Talmente un'inezia che in giornata l'andamento dei titoli azionari di Bezos ha riportato in testa l'americano. E sul filo dei 186 miliardi sorpassi e controsorpassi sembrano destinati a ripetersi.
Tra le due creature della Silicon Valley, Bezos e Musk (che di miliardi di dollari, poverino, ne ha solo 147 e deve accontentarsi del terzo posto) e Monsieur Bernard, le differenze non potrebbero essere più grandi. L'alfiere della grandeur arriva dal Nord grigio e severo di Roubaix, la Manchester francese, fatta di fabbriche e di carbone, dove è nato 72 anni fa. Suo papà aveva un'azienda che si occupava di appalti e lavori pubblici, lui ad un certo punto ha voltato le spalle al passato e ha iniziato a collezionare marchi pregiati, sinonimo di eleganza e raffinatezza. Etichette di champagne (praticamente tutti i più noti, da Veuve Clicquot a Moët et Chandon fino a Dom Perignon) e brand della moda: Christian Dior, Louis Vuitton). Ha conquistato la grande distribuzione francese (Le bon marchè, Samaritaine, Sephora), ha superato i confini nazionali conquistando glorie italiane come Gucci e Fendi o il gruppo turistico Belmond, che nella Penisola possiede alberghi come il Cipriani di Venezia.
Oggi il suo portafoglio di brand conta 75 o 76 grandi case. Ci sono gli ultimi arrivati: i sandali Birkenstock e i gioielli di Tiffany, che da soli valgono più di 15 miliardi, comprate nei primi mesi del 2021.
Nell'anno e mezzo di pandemia lui e il suo rivale americano Bezos hanno continuato a fare soldi a palate. Bezos perché il lockdown ha gettato il mondo nelle braccia dei colossi del virtuale. Arnault perché, dopo un primo choc, i beni di lusso hanno ripreso la loro corsa come se niente fosse, trascinati anche da un mercato cinese che sembra più promettente che mai. Il risultato è che alla Borsa di Parigi il titolo Lvmh, dal primo marzo scorso, quando la pandemia muoveva i primi passi, ha praticamente raddoppiato il suo valore.
Il virus del resto ha fatto bene a tutti i miliardari. Nel 2008, quando era scoppiata la crisi dei mutui subprime, avevano anche loro pagato dazio: i 400 uomini più ricchi del mondo secondo la classifica di Forbes ci avevano messo tre anni per tornare ai livelli di ricchezza precedenti i crack bancari. Questa volta non è stato così: si calcola che da marzo a dicembre dell'anno scorso abbiano guadagnato circa un miliardo. Quanto ad Arnault non si scompone: «I soldi di cui si parla non sono quelli che ho sul conto. Sono il valore delle azioni che possiedo.
E vanno su e giù per definizione». Intanto, mentre sui giornali francesi si sprecano le ipotesi sul suo successore (probabilmente il figlio Alexandre) Bernard ha regalato 200 milioni di euro per il restauro della Cattedrale di Notre Dame.
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