Un tripudio di bandiere contrapposte, stendardi tricolori contro vessilli e gonfaloni regionali, e poi inni nazionali - alquanto stonati - e selfie e controselfie. La lunga notte dell'Autonomia differenziata finisce (stavolta senza risse e scazzottate) così, in una sorta di remake di «Fun with flags» di Sheldon Cooper, nella celeberrima serie tv «Big Bang Theory». Con la sinistra che agita il Tricolore e la Lega che sventola le bandiere delle regioni del Nord.
A Montecitorio si vota fino all'alba su emendamenti e articoli del ddl che apre la strada a intese con lo Stato per trasferire competenze alle Regioni su molte fondamentali materie (dalla sanità all'istruzione, dall'energia ai trasporti, fino al commercio estero). Alle sei del mattino iniziano le dichiarazioni di voto finali, alle otto arriva il voto: 172 sì, 99 no, svariati assenti. Chi per colpo di sonno, chi per dissenso: tre parlamentari calabresi di Forza Italia non votano, appoggiando le critiche alla legge del governatore azzurro Roberto Occhiuto.
Esultano i leghisti, sponsor della riforma diventata ieri legge, e in primo luogo il suo tessitore parlamentare, nonchè ministro per gli Affari Regionali, Roberto Calderoli: «A dirlo mi tremano le gambe per l'emozione. C'è il via libera definitivo della Camera all'Autonomia differenziata. L'approvazione di oggi è il coronamento di anni e anni di battaglie politiche della Lega, con un voto che scrive una pagina di storia per tutto il Paese».
«Noi andremo avanti con le riforme e gli italiani decideranno alla fine di questa esperienza se vogliono stare con chi difende lo status quo o con chi tenta di fare del suo meglio per restituire ai cittadini una Nazione», chiosa la premier Giorgia Meloni. Di tutt'altro parere le opposizioni: «Meloni ha piegato la testa davanti ai ricatti della Lega che ha minacciato di far cadere il governo sullo Spacca-Italia. E meno male che diceva di non essere ricattabile», tuona Elly Schlein, che interviene in aula di primo mattino. «Spaccano l'Italia col favore delle tenebre», le fa eco Giuseppe Conte, tra un bisticcio e l'altro con Giuseppe Grillo. «Ma quali Fratelli d'Italia, questi sono brandelli d'Italia: la dividono in tante regioni in competizione per le risorse, rendendola più debole», accusa dal Pd Lia Quartapelle.
Le opposizioni si ritrovano unite (inclusi Matteo Renzi e Carlo Calenda, gli assenti di martedì alla manifestazione del nuovo «fronte popolare» a piazza Santi Apostoli) sul come portare avanti la battaglia, fuori dalle aule parlamentari che ormai hanno varato la riforma: si imboccherà la strada del referendum abrogativo. Dal Pd a Avs a M5s, tutti si dicono pronti alla raccolta delle firme per farlo partire. «Questa riforma non serve al nord e fa male al sud. Abbiamo votato contro in aula, saremo conseguenti sul referendum», annuncia Renzi. Idem Calenda: «Azione è pronta a unirsi alla battaglia referendaria». Con una avvertenza: «Va considerato il quorum necessario, per evitare di fare regali alla maggioranza». Qualche dubbio sulla strategia lo affaccia il governatore della Campania De Luca, pur duramente contrario al ddl: «Se l'opposizione di sinistra si attesta su questa posizione, non credo sia una linea forte. Il sistema deve essere rinnovato, bisogna aumentare i livelli di efficienza, la capacità decisionale, i tempi di decisione. Ma non al prezzo della rottura costituzionale», ammonisce.
Ma anche il centrodestra non è monolitico: se i governatori leghisti del Nord esultano, quelli del Sud, dal calabrese Occhiuto al lucano Bardi, avanzano critiche.
E nel corso della lunga notte sono stati approvati quattro ordini del giorno di Forza Italia, col parere favorevole del governo, per sollecitare la sospensione dei negoziati tra lo Stato e le Regioni fino alla definizione dei livelli minimi di prestazione, prevista ma non definita dal testo del ddl approvato ieri.
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