Per farci un governo insieme, non ha mai voluto scendere a patti. Ma per far cadere un governo, quello di Matteo Renzi, allora l'alleanza si può anche fare. Appena ha sentito aria di rottura, Beppe Grillo ha subito chiamato la minoranza piddina per stringere un patto contro il Jobs Act e trasformare il Senato nel Vietnam. "Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere - ha scritto oggi sul blog - compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce?". Per il leader dei Cinque Stelle la battaglia per l'articolo 18 è "l’occasione per mandare a casa Renzi". Tanto da essere disposto a sconfessare la linea del movimento e accordarsi con Pierluigi Bersani.
Con la comparsata di ieri sera a diMartedì, Bersani si proposto alla testa dei ribelli democrat. A Renzi ha chiesto rispetto, ma soprattutto ha ricordato che in parlamento sta govenando grazie al suo 25%. Nelle ultime ore le firme ai sette emendamenti per modificare il Jobs Act e blindare l'articolo 18 sono salite a una quarantina. Una cifra che, soprattutto a Palazzo Madama dove i numeri sono sul filo del rasoio, potrebbe impensierire non poco il presidente del Consiglio. "Nel programma del Pd - ha chiesto Bersani - dove si trova l'abolizione dell'articolo 18". Qualora le modifiche alla riforma del lavoro non dovessero essere accolte, la minoranza piddina è addirittura disposta a chiedere il referendum. "Nella riforma del lavoro ci sono punti che non vanno e che aggravano la precarietà", ha rilanciato Stefano Fassina intervenendo ad Agorà. Di rimando il responsabile economico del Pd Filippo Taddei, in un’intervista al Sole 24Ore, ha ribadito che la riforma è "un pezzo unico che si tiene tutto assieme". Il Pd, insomma, è a un passo dalla rottura.
In questo quadro desolante prova a infilarsi Grillo per scippare a Renzi quel pugno di voti che gli permettono di reggere il governo. "Lo scontro - si legge nel post firmato dall'ideologo del M5S, Aldo Giannulli - impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell’azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame 'riforma', quanto l’occasione per mandare definitivamente a casa Renzi". La chiamata alle armi del comico genovese non vale solo per la minoranza del Pd, ma anche per i sindacati. Una provocazione bella e buona che fa sorridere il capogruppo democrat Roberto Speranza che ha accusato Grillo di fare un "populismo nemico della sinistra". Anche tra i ribelli la sortita contro il premier non sembra affatto ingolosire. Per il senatore Miguel Gotor, per esempio, il leader del M5S è solo "un piccolo Ayatollah che punta a indebolire il Pd".
Per quanto l'offerta di Grillo rischi di cadere nel vuoto, per Renzi il rischio di non avere i numeri per approvare la riforma del mercato del lavoro resta. E si fa ogni giorno via via più concreto. Divisi dal dubbio amletico (appoggiare il premier o perdere lo scranno?), chitiani, mineani, bersaniani e civatiani fanno finta di ruggire come leoni anche se assomigliano a conigli. La posta in gioco è alta. E qualcuno potrebbe anche bluffare.
Sempre che i voti mancanti per approvare il Jobs Act non arrivino dagli scranni del centrodestra. In quel caso, Bersani e compagni rimarranno con il cerino in mano. E lo smacco di non aver più l'articolo 18 da sbandierare a ogni battaglia sindacale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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