"Mi viene una sola parola per definire il dibattito sull’articolo 18: paradossale". Al termine di una convulsa giornata segnata dalla serrata della minoranza piddina a difesa dell'articolo 18, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan affida al sito di Avvenire la blindatura del Jobs Act e, in particolar modo, la parte che rivede la norma chiave dello statuto dei lavoratori. "Se si guardano i numeri - ha spiegato in un’intervista che verrà pubblicata domani - ci si accorge che i lavoratori 'impattati' dall’articolo 18 sono pochissime migliaia". Eppure la minoranza del Pd non vuole sentir ragioni: se il governo non dovesse rivedere la riforma del lavoro, è pronta ad arrivare allo scontro frontale.
La minoranza piddina ha scoperto le carte. Sui vertici di via del Nazareno sono piovuti i sette emendamenti al Jobs act che rischiano di minare la riforma del lavoro fortemente voluta dal premier Matteo Renzi. A Palazzo Madama tra i quaranta firmatari figurano bersaniani, civatiani e ribelli storici alla Vannino Chiti, Corradino Mineo, Walter Tocci e Massimo Mucchetti. Il punto principale del documento unitario prevede la piena tutela dell'articolo 18 per tutti i neoassunti dopo i primi tre anni di contratto. "La posizione la decide la direzione - ha subito commentato la vicepresidente del Pd, Debora Serracchiani - Renzi non accetterà veti". In mattinata i dissidenti dem si sono confrontati con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il responsabile economia del partito Filippo Taddei. "Le polemiche in caso di licenziamento discriminatorio - ha tagliato corto - il ministro - sono infondate". Ma a liquidare con più forza la serrata piddina è Padoan che non ha alcuna intenzione di cambiare l'impianto della riforma per "pochissime migliaia" di persone. "Sono numeri importanti perché parliamo di persone - ha spiegato ad Avvenire - ma irrilevanti se messi di fronte all’interesse collettivo che è più occupazione e più equità". Secondo il titolare del Tesoro, da parte di una certa sinistra ci sarebbe, infatti, "un accanimento ideologico che l’Italia non si può più permettere".
Nell’intervista ad Avvenire il ministro dell'Economia ha assicurato agli italiani che, subito dopo la riforma, "il nuovo mercato del lavoro offrirà più prospettive di lavoro, più prospettive di investimento e di crescita e soprattutto retribuzioni più elevate". Sempre che il Jobs Act non si areni nel tortuoso iter parlamentare. Civati, Bindi, Fassina e Boccia, Damiano e Cuperlo, Chiti e D’Attorre fanno fronte comune per ottenere le modifiche richieste. Hanno già esibito la propria forza con le quasi quaranta firme presentate in calce agli emendamenti al Senato. E adesso confidano di convincere il segretario-premier a mediare. A guidare la fronda è proprio Pierluigi Bersani che, ricordando a Renzi di essere al governo col suo 25%, pretende non riconoscenza ma rispetto: "Dove sta scritto nel programma di cancellare l’articolo 18?". Questo, insomma, il clima infuocato che attende Renzi al suo rientro dagli Stati Uniti. "Leggo che avrei chissà quale obiettivo, di stare lavorando per chissà quale piano - ha detto Bersani, non senza una punta di ironia ai microfoni di La7 - a Renzi e agli altri dico, state sereni...".
La minoranza allargata tornerà a vedersi dopo la direzione, questo è l’accordo. In quella sede si deciderà anche se sia il caso di ricorrere al referendum tra gli iscritti che è previsto dallo statuto.
"Dirigere un partito non è comandare", ha ricordato Cuperlo a Renzi. Ma al renziano Andrea Marcucci non è sfuggita "la malinconia di certe riunioni tra vecchi 'commilitoni' che non hanno perso gusto per minoritarismo e sconfitta".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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