Un risiko che l'America di Joe Biden, impegnata a contenere la potenza cinese, non ha tempo di combattere e che un'Europa, priva di grandi eserciti deve vincere a suon di miliardi. È il risiko della Libia e del Mediterraneo su cui Mario Draghi, primo capo di un governo straniero a incontrare ieri a Tripoli il premier del governo di unità nazionale Abdulhamid Dbaiba, sta per muovere le prime mosse. Un risiko in cui l'Italia si ritrova in prima linea dopo esser stata quasi espulsa da un ex colonia dove Turchia e Russia sembravano i nuovi padroni. Un risiko che ci riporta agli incontri Gheddafi-Berlusconi visto l'entusiasmo con cui il premier libico ha proposto la riattivazione dell'«Accordo di amicizia» del 2008. «Una delle questioni più importanti - ha detto - è riattivare l'Accordo di amicizia del 2008, a cominciare dalla costruzione dell'autostrada. Prevediamo - aggiunge poi - un aumento della collaborazione nell'elettricità e nell'energia». Obbiettivi condivisi dal nostro presidente del Consiglio accompagnato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. «È un momento unico per guardare al futuro - ripete Draghi -, c'è la volontà di riportare l'interscambio culturale ed economico con la Libia ai livelli di cinque, sei, sette o otto anni fa e... anche superarlo».
Per comprendere lo scenario geo-politico in cui s'inserisce la visita di Draghi bisogna fare un salto all'indietro all'autunno 2019. Sono i mesi bui in cui Ankara da una parte manda le milizie jihadiste arruolate in Siria a difendere la capitale minacciata dal generale Khalifa Haftar e dall'altra impone al governo di Tripoli un accordo marittimo che trasforma il Mediterraneo in un possedimento turco. L'interventismo turco contrapposto alla presenza in Cirenaica dei mercenari russi alleati di Haftar trasformano il Paese in una piattaforma capace di garantire a Mosca e Ankara il controllo, o la suddivisione, del Mediterraneo. Un disegno strategico inaccettabile per l'amministrazione di Joe Biden deciso a pretendere dagli europei un ritorno agli assetti del passato.
Ma in questo nuovo risiko più delle forze militari - di cui l'Europa non dispone - contano gli assetti finanziari. «Abdul Dbeibah, premier del nuovo governo libico di unità nazionale sa che l'Europa è l'unica in grado di garantire un piano di ricostruzione da miliardi di euro. Un piano che né la Russia di Putin, né una Turchia di Erdogan in piena crisi economica possono assicurargli» - spiegava al Giornale l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti oggi alla guida della fondazione MedEs. Ma la leva finanziaria dell'Europa aveva bisogno - agli occhi di Washington - di un capofila affidabile. Quel capofila non poteva essere la Francia, tradizionale madrina di tutte le operazioni diplomatiche europee, compromessa però dall'alleanza con Haftar. E non poteva essere nemmeno essere una Germania poco flessibile, agli occhi di Washington, per misurarsi con la complessità libica e non abbastanza affidabile quando chiamata a coordinare i propri interessi economici con quelli alleati.
A quel punto la mossa quasi obbligata per Biden è stata quella di ripartire dall'Italia affidando al nostro Paese le stesse deleghe già assegnateci nel 2012 dall'amministrazione Obama. Con in più, però, la garanzia di contare su un ex presidente della Bce come Mario Draghi. Un ex presidente Bce a cui gli Stati Uniti hanno sempre riconosciuto, non solo un'eccellente visione politico-finanziaria, ma anche il coraggio di opporsi ai diktat della Germania di Angela Merkel. In virtù di questo doppio ruolo Mario Draghi è stato considerato il candidato perfetto per la guida di un'operazione strategico-economica destinata a riportare il Mediterraneo nell'ambito degli assetti atlantici. Ma a garantire all'Italia un altro atout indispensabile per tornare da protagonista sull'antica «Quarta sponda» contribuiscono le capacità e le esperienze di un'azienda globale come l'Eni. Anche perché tradizionalmente gli impianti costruiti e gestiti dalla nostra compagnia sono stati utilizzati non solo per la mera esportazione verso l'Italia, ma anche per garantire i rifornimenti energetici delle imprese e delle città libiche. Proprio per questo l'Eni è considerata l'azienda più indicata per indirizzare gli investimenti europei e riportare l'elettricità ai quattro angoli di un paese immenso dove senza l'energia nessun investimento può garantire una ricostruzione.
Ovviamente la grande incognita sarà il disarmo delle milizie. Milizie da «comprare» e reinserire in un nuovo esercito nazionale dopo aver garantito la tenuta del cessate il fuoco.
«Un requisito essenziale - ha detto Draghi - per procedere con la collaborazione». Piani e progetti che, come Draghi sa bene, potranno andare a buon fine solo se armi, traffici e lotte di potere non resteranno le uniche in grado garantire la paga mensile a buona parte della popolazione.
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