Pensare che nell'anno eroico dell'autoproclamato «governo del cambiamento» quasi non si potevano vedere. Invece, passati 24 mesi e poco più dall'indimenticabile strappo del Papeete che decretò il game over del Conte 1, Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio hanno ormai trovato un'intesa inaspettata. Il tête-à-tête di martedì sera in una pizzeria di via Flaminia a Roma, infatti, è solo il primo campanello pubblico di una consuetudine che in privato pare sia consolidata da tempo. Questo, almeno, assicura chi conosce bene i due e ha occasione di incontrarli spesso.
Giorgetti e Di Maio, insomma, si sentono, si confrontano e ragionano in prospettiva. E guardano, come è inevitabile che sia, alla partita per il Colle che si giocherà in Parlamento nella seconda metà di gennaio. Entrambi numeri due dei rispettivi partiti, entrambi poco inclini a seguire la linea dei rispettivi leader. Sia Giorgetti che Di Maio sono convinti sostenitori della stabilità, che ha come principale corollario il fatto che la legislatura vada avanti. Insomma, dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato - su questo concordano e il tema è stato il principale oggetto di conversazione nella pizzata romana - bisognerà fare il possibile per evitare il voto anticipato. Con il Pnrr in ballo e l'Europa alla ricerca di una leadership forte, infatti, l'auspicio - anche dell'establishment europeo e d'oltreoceano - è che il Paese non si avventuri sulle montagne russe di una campagna elettorale senza esclusione di colpi che rischia di portare solo instabilità.
Ognuno, ovviamente, guardando le cose dalla sua prospettiva. Giorgetti vede senza dubbio meglio Draghi sul Colle, anche perché a quel punto si aprirebbe la riffa per la successione a Palazzo Chigi. L'ex numero uno della Bce sosterrebbe certamente la candidatura del titolare dell'Economia Daniele Franco, con cui ha da sempre un rapporto strettissimo tanto che al Mef - non è una notizia - il ministro è stato soprannominato Alexa (perché come l'assistente vocale di Amazon risolve tutti i problemi del premier). Ma Franco darebbe a Matteo Salvini il pretesto per sganciarsi, cosa che - archiviata la decisiva partita per il Quirinale - il leader della Lega sarà comunque tentato di fare. Ecco perché, in un simile scenario, Giorgetti potrebbe tornare centrale, magari - si avventura qualcuno forse sottovalutando le ritrosie del Pd - ambire a Palzzo Chigi. Diversa la prospettiva di Di Maio. Che dopo gli appelli antieuro, l'innamoramento per i gilet gialli francesi e l'indimenticabile richiesta di impeachment per Sergio Mattarella, è oggi filo europeista e iper atlantista. E tifa per il Mattarella bis, perché di meglio della Farnesina non può chiedere e la circostanza di essere il ministro degli Esteri di Mario Draghi non può che impreziosire il suo curriculum.
Come Giorgetti si muove con buona pace dei desiderata di Salvini (che dopo il Colle auspica le urne), anche Di Maio non è propriamente in linea con l'approccio di Giuseppe Conte. Che Draghi lo vedrebbe bene al Quirinale, ma solo per levarselo di mezzo. E che se questo comportasse andare ad elezioni anticipate non si straccerebbe certo le vesti, dovendo quotidianamente confrontarsi con gruppi parlamentari che non gestisce e avendo avuto garanzie da un sondaggio Ipsos che in caso di voto il M5s oggi si attesterebbe comunque sul 15%.
In vista della partita per il Quirinale di fine gennaio, dunque, sia Giorgetti che Di Maio - che un seguito nei rispettivi gruppi parlamentari di Lega e M5s lo hanno - sono per una soluzione che garantisca la
stabilità. Il Mattarella bis o il trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Colle. Oppure, come soluzione fuori sacco, la convergenza su un nome di garanzia come quello del vicepresidente della Corte costituzionale Giuliano Amato.
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