Attenti all'Asia centrale. È la nuova frontiera del terrorismo islamico

La calamita afghana fornisce un faro a chi è attratto da idee radicali vicine al jihadismo. Il Tagikistan ha visto migliaia di cittadini arruolarsi con l'"Isis-K"

Attenti all'Asia centrale. È la nuova frontiera del terrorismo islamico

Il 24 aprile scorso, la procura federale della Germania ha annunciato di aver accusato di terrorismo sette sospetti arrestati, cinque originari del Tagikistan, uno del Turkmenistan e uno del Kirghizistan; la mossa ha seguito di poche settimane l'annuncio dell'arresto, a Fiumicino, di un cittadino tagiko ritenuto un membro attivo dell'Isis.

Il faro di autorità investigative e intelligence occidentali ci ricorda come il nuovo fronte caldo per la lotta al terrorismo globale è l'Asia Centrale. Oggi seguita dalle maggiori potenze con crescente attenzione dopo gli attentati di marzo al Crocus City Hall di Mosca perpetrato da un gruppo di terroristi tagiki affiliati a Isis-K, la branca del sedicente Stato Islamico che si muove nell'ampia area tra il Mar Caspio, gli altipiani centroasiatici e le catene montuose del Pamir, dell'Himalaya e dell'Hindu Kush. K sta per Khorasan, antica regione storica dominata dai Persiani e dagli emirati islamici, per il mondo musulmano «la terra dove sorge il Sole», la più orientale della prima Umma musulmana. Per il jihadismo, la terra da cui oggi si vuole far risorgere un astro già tramontato da tempo nella storica roccaforte mediorientale e sfidato su più fronti in Africa.

I fattori che spingono alla creazione di questo terreno di coltura sono molteplici. C'entra, innanzitutto, la grande calamita afghana. Il Paese da tre anni è governato dai Talebani, che promuovono un Islam politico su basi nazionali, come instrumentum regni, piuttosto che una spinta al califfato globale sognato dall'Isis. Ma il Paese è poroso e nelle montagne afghane Isis-K ha potuto stabilire le sue roccaforti. I Talebani combattono da prima della presa del potere a Kabul, avvenuta nel 2021, la filiale locale dell'Isis e negano internazionalmente che vi sia un problema Isis-K nel Paese. Ma afghano è Shahab Al-Muhajir, il giovane (30 anni) capo dell'Isis-K, e afghane sono le sue centrali operative. In secondo luogo, la calamita afghana fornisce un faro a chi, nell'Asia Centrale, è attratto da idee radicali vicine al jihadismo. Il Tagikistan, che confina con l'Afghanistan, ha visto migliaia di suoi cittadini arruolarsi nell'Isis per combattere in Iraq e Siria. La porosità dei confini aiuta, in questo senso, a creare spazi di arruolamento e contatti costanti.

Il portale Atlas of War ricorda poi come il contesto politico evolutosi negli ultimi anni abbia favorito gli arruolamenti e che il Paese vittima del più duro degli attacchi, la Russia, abbia fornito un serbatoio in tal senso: «dall'inizio della guerra in Ucraina, è diventato più facile per gli islamisti reclutare migranti dall'Asia centrale nelle loro fila, poiché ce n'è un numero crescente in Russia a causa della carenza di manodopera a causa della mobilitazione e delle perdite sul fronte della disoccupazione. Ecco le prime linee. I migranti spesso parlano male il russo, vengono trattati male e vengono presi di mira dai raid della polizia e inviati in prima linea».

Infine, la regione offre all'Isis-K una vasta gamma di bersagli. Attività di insorgenza militante sono attive, lo abbiamo ricordato, in Afghanistan e al confine tra questo Paese e il Tagikistan; non è avulso da insorgenze di tal fattura anche l'Iran, Paese indicato come bestia nera dallo Stato Islamico perché bastione dell'Islam sciita e alleato delle forze siriane e libanesi che hanno combattuto sul terreno le bandiere nere nel Levante. C'è poi la Russia, tutta proiettata sull'Ucraina, che in Siria ha bombardato duramente l'Isis e mantiene sacche di insorgenza legate a Isis-K. E, infine, in Pakistan l'Isis-K ha saldato le sue forze con Tehrik Taliban Pakistan nel costituire una minaccia al governo di Islamabad. Ne consegue che gli uomini di Al-Muhajir, di cui en passant, si dice sia a sua volta di etnia tagika hanno l'imbarazzo della scelta.

Forti di una capacità d'infiltrazione crescente, le bandiere nere dell'Isis-K sono state le organizzazioni più tristemente prolifiche del panorama terroristico globale nell'ultimo anno e mezzo: prima del Crocus, solo nel 2024, hanno compiuto l'attacco iraniano di Kerman, che il 3 gennaio ha causato 94 morti, e quello in Balochistan, regione del Pakistan, del 7 febbraio (30 morti). In Afghanistan tre attentati del 2023 hanno causato complessivamente 59 morti. E ora si alza attivamente sull'Isis-K il faro dell'Occidente. Consapevole sempre più che quella del terrorismo resta una sfida mondiale. Anche quando a essere colpiti sono Paesi sulla carta rivali come Iran e Russia. Ma non esiste inimicizia geopolitica che tenga di fronte alla sfida comune del radicalismo incarnato dall'Isis, che con l'esaurirsi della stagione degli attentati consumatasi tra il 2015 e il 2017 ci si era crogiolati potesse essere definitivamente sconfitto. Il nemico delle bandiere nere ritorna, sotto forma diversa e con metodi d'infiltrazione maggiormente legati alla capacità di penetrazione in un dato contesto etnico o geografico, e anche in Europa si alza il faro e lo scrutinio.

Nel frattempo, in Russia, la caccia al jihadista sta avendo una connotazione specifica proprio sul piano etnico: ricorda l'Eurasia Times che dal giorno dopo gli attacchi del Crocus, il 25 marzo, «si sono verificati 515 procedimenti giudiziari contro sospetti migranti illegali» di origine centroasiatica: in 466 di questi casi sono stati emessi ordini di espulsione. Di coloro che hanno ricevuto ordini di espulsione, 418 sono stati soggetti a «deportazione forzata» con detenzione, e a 48 persone è stata concessa una «partenza indipendente e controllata dal paese». Alle democrazie liberali l'onere di rispondere con razionalità a eventuali insorgenze jihadiste di simile fattura. Ricordandosi che non è alimentando la faglia etnica, ma ricomponendo le fratture, analizzando i sospetti e isolandoli che si può anestetizzare la minaccia. Il metodo italiano, andato in scena l'8 aprile, insegna.

Ma nonostante le guerre che, dall'Ucraina a Gaza, insanguinano il mondo e destano preoccupazione anche sul fronte dell'antiterrorismo è bene rimanere vigili. Ricordandosi che si ha a che fare con un nemico a più facce, un'Idra che siamo ben lungi dall'aver definitivamente decapitato.

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