Non era stanco e non stava correndo l'autista dell'autobus volato giù dal viadotto di Mestre. Sono due dei punti di partenza dell'indagine sulla tragedia, che necessariamente ruota intorno alla figura del conducente, Alberto Rizzotto, 40 anni, originario di Conegliano, in provincia di Treviso, e residente a Tezze di Vazzola, sempre nel trevigiano. È stato il suo, lunedì sera, l'ultimo corpo estratto dalle lamiere del bus avvolto nelle fiamme. Rizzotto lavorava per la ditta La Linea da circa sei anni ed era considerato un autista esperto, una bravissima persona.
«Shuttle to Venice» aveva scritto nell'ultimo post su Facebook alle 18.30 di lunedì, un'ora e mezza prima dell'incidente, mentre stava riportando i turisti allo «Hu Camping» di Marghera. Ma al camping il suo autobus elettrico, in strada da neanche un anno, non è mai arrivato. Quando la notizia del disastro ha cominciato a circolare, sotto al post sono comparsi i messaggi degli amici di Alberto, sempre più preoccupati: «Rispondi», «Fatti sentire per favore». Messaggi rimasti senza risposta.
Ma perché quella manovra improvvisa dell'autobus di cui hanno parlato alcuni testimoni e che si intravede da un video ripreso da una telecamera di videosorveglianza? Un movimento strano che fa pensare ad un malore del conducente. Rizzotto potrebbe essersi sentito male mentre imboccava il cavalcavia della bretella che da Mestre porta verso Marghera e il pullman, fuori controllo, è finito così contro il guard rail, sfondandolo e precipitando nei pressi della ferrovia sottostante. Per questo sul corpo di Rizzotto è stata disposta l'autopsia, dalla quale gli investigatori si aspettano risposte utili alla ricostruzione della dinamica di un incidente che al momento appare altrimenti inspiegabile. Questa mattina verrà conferito l'incarico. Nessun preconcetto da parte del procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, solo la necessità di raccogliere tutti gli elementi necessari a fare chiarezza. Il colpo di sonno è un'altra possibilità, ma l'autista non aveva preso servizio da molto. «Stava guidando da tre ore e mezza, peraltro non continuative», spiega il direttore operativo della compagni La Linea, Tiziano Idra. «Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto abbondantemente delle ore di riposo previste. Non era certo stanco». «Tutto fa pensare a un malore, però è prudente non avanzare ipotesi e usare il condizionale», azzarda anche il governatore del Veneto, Luca Zaia. Gli inquirenti hanno disposto accertamenti sul telefonino di Rizzotto, anche per escludere l'ipotesi di una distrazione fatale e seguire tutte le piste. «Si sta provvedendo anche all'esame del cellulare del conducente e di quanto possa permettere di dare certezze su quanto è accaduto», dice il procuratore in conferenza stampa.
I colleghi dell'azienda La Linea, proprietaria del pullman, sono sotto shock. Tutti ricordano Rizzotto come un autista esperto, una persona che amava il suo lavoro. «La cosa che più si notava di lui era il forte attaccamento al lavoro: si faceva un'ora di strada ogni giorno per essere in servizio», racconta Nicola. «Alberto era una persona buonissima», aggiunge Emma. Anche Silvano ne ricorda la bontà: «Non aveva malizia, secondi fini, era un puro. Se si dimenticava di pulire un bus diceva hai ragione ho sbagliato, la prossima volta cercherò di fare meglio».
La famiglia dell'autista, che risiede a Tezze sul Brenta (Vicenza) è chiusa
in casa, con tutte le tapparelle abbassate e non vuole parlare con nessuno. Il padre è un generale dell'aeronautica, la madre maestra elementare e catechista, il fratello è dipendente di un'azienda manifatturiera locale.
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