Il destino di Autostrade, a quasi due anni dal crollo del Ponte Morandi, resta nelle mani del governo. Ieri pomeriggio infatti è stata spedita la proposta definitiva di Autostrade per l'Italia (Aspi) per arrivare a un accordo con l'esecutivo ed evitare la revoca della concessione. Il primo esame sarà ad opera del ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli che ne discuterà domani a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte anche se in serata ambienti M5s hanno ribadito la loro contrarietà.
Proprio Conte, in questi ultimi giorni, ha più volte rimarcato di attendersi una «proposta vantaggiosa» per lo Stato da parte della società controllata all'88% da Atlantia, che a sua volta fa capo alla famiglia Benetton. L'offerta, secondo indiscrezioni di mercato, è migliorativa rispetto a quanto messo sul piatto nella scorsa primavera e dovrebbe prevedere un pacchetto di risarcimenti complessivi di 3,4 miliardi (da una previsione iniziale di 2,9 miliardi), compresi 700 milioni destinati alla ricostruzione del Ponte, una riduzione delle tariffe (si parla di uno sconto del 5% circa), oltre alla conferma dei 14,5 miliardi previsti fino al termine della concessione, nel 2038, e 7 miliardi di manutenzioni. Da Roma si attende una risposta martedì quando è in agenda un Consiglio dei ministri.
Il tema tuttavia è ben più di ampia portata rispetto alla proposta tecnica e dovrebbe passare da un passo indietro dei Benetton nella concessione autostradale. Per questo si attende che Atlantia ufficializzi la propria disponibilità a cedere la quota di maggioranza in Aspi (fino al 30% del capitale), per far posto allo Stato che schiererebbe o Cassa depositi e prestiti da sola o, più probabilmente, insieme al fondo F2i specializzato in infrastrutture; a cui poi potrebbero unirsi, con quote minoritarie, Poste Vita, o alcune Casse Previdenziali o il fondo australiano Maquarie. Ma per arrivare a questa fase, che pare cruciale per una positiva definizione del lodo, il passaggio obbligato è quello di un accordo sulla valutazione del gruppo che però non dovrebbe presupporre un'eventuale modifica del Decreto Milleproroghe.
Lo scorso dicembre infatti il governo aveva ridotto a 7 miliardi (dai 23 miliardi previsti dalla convenzione firmata il 12 ottobre 2007) il valore di indennizzo a favore di Aspi in caso di revoca della concessione. Una situazione che ha concorso a determinare l'affossamento di Atlantia in Borsa (-40% circa da inizio anno), al declassamento del suo debito a «junk» («spazzatura») e alle difficoltà di procedere al finanziamento di Aspi, su cui già oggi gravano quasi undici miliardi di euro di debito.
Solo una volta raggiunto un accordo su questo punto sarà possibile pensare alle modalità di ingresso dei nuovi azionisti in Aspi, che potrebbe avvenire attraverso un aumento di capitale riservato, in modo di dotare Autostrade di nuova forza finanziaria.
Insomma, quella di ieri è stata solo una tappa, seppure fondamentale, sulla strada della definizione di un compromesso sulla concessione ai Benetton. Ma il percorso è tutt'altro che terminato e presuppone la ricerca di un equilibrio tra istanze politiche ed economiche. «La revoca pura e semplice, di stampo politico-ideologico e targato M5S, innescherebbe una catena di fallimenti e danni colossali» sostiene il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri che chiede una intesa su un minor margine di guadagno e controllo efficiente.
«Basta: gli italiani non possono più rimanere in coda ad aspettare le non decisioni di un governo che con le sue regole insensate sulla manutenzione sta mettendo in pericolo migliaia di automobilisti», attacca Edoardo Rixi della Lega.
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