Da Autostrade al Mes Il governo fa a pezzi l'economia grillina

I conti non reggono e il M5S dovrà fare retromarcia anche su lavoro e flessibilità

Da Autostrade al Mes Il governo fa a pezzi l'economia grillina

Una necessità legata all'avvio della fase tre. Difficile fare ripartire l'economia gravati da troppe zavorre ideologiche e battaglie storiche di un partito che fino a poco tempo fa faceva della decrescita felice una bandiera irrinunciabile. Ma siccome non è possibile scaricare in toto i Cinque stelle, parte consistente della maggioranza e la quasi totalità del governo hanno deciso di agire di bisturi ed eliminare dall'agenda alcune policy, gran parte delle quali hanno il marchio M5s.

Il clima che si respira sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, è noto. Servirebbe come il pane al governo, alle prese con le spese dell'emergenza, da mettere a bilancio già nel 2020, e a secco di trasferimenti europei almeno fino al 2021. Che non ci siano condizioni o che resistano quelle implicite, legate al ritorno in vigore del Patto di stabilità, sembra importare poco all'esecutivo. Nei giorni scorsi si sono espressi a favore il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e il vice Antonio Misiani, convinti sostenitori dell'adesione alla nuova linea di prestito per le spese sanitarie dirette e indirette. Poi, sul recovery plan, lo stesso ministro ha ammesso che il ricorso ai finanziamenti da 172 miliardi (se sopravviveranno all'esame del Consiglio Europeo) sarà condizionato dalla adozione di riforme. Temi poco grillini, insomma. Sul Mes i cinquestelle hanno fatto barricate. Ieri il ministro alla Pubblica amministrazione Fabiana Dadone ha insistito nel definirlo «strumento inutile». Il collega Stefano Patuanelli, responsabile M5s dello Sviluppo economico, ha lasciato intravedere una soluzione: «Ci sarà un dibattito parlamentare e sarà il Parlamento a prendere le decisioni, vedremo quali sono gli strumenti migliori per il nostro Paese in modo assolutamente laico e funzionale di obiettivo, che è l'unica cosa che ci interessa». È la rinuncia a una posizione di bandiera del partito di maggioranza relativa e principale azionista del governo.

E anche un punto a favore dell'altro partito della coalizione, il Pd, il cui segretario Nicola Zingaretti ha detto un sì «senza se e senza ma» ai 36 miliardi di euro del Mes «che ci permetterebbero di fare un grande salto nella qualità della sanità pubblica».

Ma ci sono altri fronti di degrillinizazione già aperti da tempo, che stanno riprendendo quota ora che l'emergenza da sanitaria sta diventando sempre più economica. Uno è quello delle modifiche al decreto dignità, il primo provvedimento economico del primo governo Conte. Prevedeva limitazioni ai contratti di lavoro a termine, come la causalità. Alla luce dei dati disastrosi sull'occupazione diffusi il 3 giugno (460 mila posti a termine scomparsi in un anno) il governo sta pensando di eliminare i vincoli. Pensati per rilanciare il lavoro a tempo indeterminato, hanno finito per danneggiare il livello di occupazione fino dai primi mesi di applicazione. Ora che l'economia è alle prese con gli effetti della pandemia e del lockdown, i tanti contrari al decreto dignità hanno trovato buone orecchie. Possibile che un alleggerimento del mercato del lavoro finisca tra i temi al centro della nuova fase dell'azione di governo auspicata dal premier.

Ancora aperti altri fronti economici cari al M5s. A partire da Autostrade. Il movimento punta alla revoca della concessione, il Pd no. Se sarà confermata ai cinque stelle resterà solo la bandiera di Alitalia e dell'Ilva statalizzate.

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