Per l'Iran quello degli ostaggi è un vizietto lungo 45 anni. Inizia tutto il 4 novembre 1979 quando un commando khomeinista occupa l'Ambasciata Usa di Teheran e pretende l'estradizione dello Scià - al tempo ricoverato in un clinica americana - in cambio della liberazione di una cinquantina di diplomatici statunitensi. Alla fine Reza Pahlevi morirà in esilio. Gli ostaggi, invece, verranno liberati il 20 gennaio 1981 grazie a un accordo mediato dall'Algeria.
Da allora, però, Teheran non ha mai rinunciato a usare gli ostaggi per piegare l'Occidente. Anche per questo è difficile credere alle affermazioni dei portavoce di Teheran pronti a negare un collegamento tra la detenzione della giornalista Cecilia Sala e quella dell'ingegnere svizzero iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, incarcerato in Italia su richiesta americana. La vicenda, purtroppo per Cecilia, è assai simile a quella di tanti giornalisti, uomini d'affari o operatori umanitari rimasti per anni nelle galere iraniane. Anni usati dall'Iran per trattare la liberazione di propri cittadini o sbloccare i fondi congelati in Occidente.
I casi che più ricordano la vicenda Sala sono quelli del giornalista Jason Rezaian, ex corrispondente del Washington Post a Teheran, quello dell'operatrice umanitaria anglo-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe e quello del ricercatore francese Roland Marchal. Tre vicende in cui i protagonisti affrontano interminabili odissee giudiziarie accompagnate da autentico calvario psicologico. La vicenda di Rezaian inizia il 22 luglio 2014 quando lui e la moglie, entrambi di origine iraniana, vengono arrestati con l'accusa di spionaggio. La moglie torna libera tre mesi dopo. Jason, invece, resta nel carcere di Evin in attesa di un processo conclusosi a novembre 2015 con una sentenza di condanna. Al giornalista non viene però comunicata la durata della pena. Anche perché si tratta di una condanna puramente strumentale utile soltanto ad accelerare la trattativa. Ma ci vogliono comunque 18 lunghi mesi prima che l'amministrazione Obama accetti di scarcerare sette iraniani e bonificare a Teheran un miliardo e 700 milioni di dollari congelati nelle banche americane.
Molto peggio va all'anglo-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe operatrice umanitaria della Fondazione Reuter. Arrestata nel 2016, al termine di una vacanza dai genitori iraniani, Nazanin resta nel carcere di Evin per sei lunghi anni. Alla fine il prezzo del riscatto sono i 400 milioni di sterline incassati da Londra ai tempi dello Scià in cambio di una fornitura di armi bloccata dopo l'arrivo al potere di Khomeini. Ma Londra per sei lunghi anni si rifiuta di pagare e Nazanin deve attendere il marzo 2022 per riabbracciare figli e marito. Anche in quel caso l'allora ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian conferma il pagamento, ma nega «qualsiasi relazione tra i soldi e le persone arrestate in Iran». Una posizione in linea con quelle dei portavoce che ieri smentivano qualsiasi legame tra il caso Sala e quello dell'iraniano Abeidini.
Ancor più simile a quella della Sala risulta la vicenda del ricercatore francese Roland Marchal, fermato a Teheran nel giugno 2019, accusato di spionaggio e tenuto per nove mesi in isolamento ad Evin.
Una vicenda strettamente legata, anche in quel caso, all'arresto a Nizza - su richiesta americana - dell'ingegnere iraniano Jalal Ruhollah-Nejad sospettato di esportare in Iran tecnologia e materiale sensibile. Un caso risolto solo dalla decisione del presidente Emmanuel Macron di ignorare la richiesta americana e restituire a Teheran l'ingegnere iraniano.
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