La batracomiomachia dei balneari, che ha tenuto bloccata per mesi una riforma fondamentale per il Recovery Plan come il ddl Concorrenza, nel nome della protezione a oltranza di una piccola lobby, è stata fermata sul bagnasciuga.
Il centrodestra, davanti ai duri richiami alla realtà di Draghi e all'appoggio al governo assicurato dai centristi di Toti, ha dovuto rinunciare all'ostruzionismo pro-ombrelloni e accettare un compromesso. Le votazioni in Commissione sono finalmente iniziate, e l'ultimo tentativo di far slittare il voto finale del Senato al 15 giugno (ossia dopo le amministrative, dove si suppone che votino anche i bagnini) è stato respinto: la deadline di Palazzo Chigi resta quella del 31 magio, e il ddl arriverà in aula il 30. La pistola del voto di fiducia resta sul tavolo.
Per la capogruppo di Fi Anna Maria Bernini bisogna «evitare che la maggioranza dia un messaggio di contrapposizione al governo, perché non è così». E pure Matteo Salvini fa buon viso a cattivo gioco, assicurando che «bisogna ancora lavorare all'intesa» (che in realtà è già chiusa, perché il governo ha offerto solo piccoli aggiustamenti), ma dicendosi «fiducioso» che la partita - su cui, tenta di giustificarsi, «non ci siamo impuntati per capriccio» - si chiuda presto.
Il Pd esprime soddisfazione: «Mi pare che il clima sia migliorato, e con uno sforzo comune si può arrivare a soluzioni positive», dice la capogruppo in Senato Simona Malpezzi, «tutte le forze di maggioranza si dimostrino responsabili».
Ma appena si chiude uno strappo in maggioranza se ne apre subito un altro e i partiti, in piena sindrome da campagna elettorale permanente (dalle amministrative alle prossime politiche) non smettono di beccarsi a sangue come galletti da combattimento. Enrico Letta accusa la Lega di sabotare Draghi: «Salvini sta facendo di tutto per far cascare il governo». Poi difende il suo alleato grillino: «Conte invece no», assicura. Venendo smentito pochi minuti dopo nell'aula di Palazzo Madama, dove invece i Cinque Stelle, su mandato del loro capo, aprono un nuovo fronte contro Draghi e contro il loro stesso ministro ai rapporti con il Parlamento, D'Incà, chiedendo che il premier si presenti in aula (cosa che ha già fatto pochi giorni fa) per riferire su Ucraina e Consiglio Ue straordinario. Peccato che il calendario votato dalla conferenza dei capigruppo, con l'assenso del ministro 5s, non prevedesse l'appuntamento, che i grillini reclamano per riaprire la querelle contro gli aiuti all'Ucraina. La richiesta è stata respinta a maggioranza, ma M5s ha votato con le opposizioni.
«Le forzature 5S sono del tutto assurde e ingiustificate, vogliono trasformare le comunicazioni del premier in una nuova resa dei conti», accusa il dem Marcucci. Ma la linea anti-Ucraina (e anti-Draghi) di M5s trova subito sponda in Salvini, che avverte: «Mandare altre armi sarebbe un errore madornale, mi auguro che non ci siano altri decreti». A mettere il dito nella piaga è Matteo Renzi: «Salvini e Conte tornano sempre insieme, hanno la stessa visione del paese.
Dal reddito di cittadinanza a quota 100 all'Ucraina. E vedrete se non sarà così l'anno prossimo». Ossia: dopo le elezioni, il fronte filo-russo si ricostituirà. Con buona pace di Letta, che continua a difendere il suo alleato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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