Nella vita disgraziata di Marco Dimitri, morto ieri a Bologna a 58 anni, di cose «satanica» ce ne sono state molte. Compreso un processo dove questa sorta di «Charles Manson italiano» (ma solo nell'inquietudine di una certa estetica a base di capelli arruffati e occhi spiritati) venne accusato di ogni sorta di nefandezza - compreso lo stupro di un bambino di due anni durante un rito demoniaco - per poi essere assolto e, nel 2004, addirittura risarcito con 100 mila euro a causa dei 400 giorni di ingiusta detenzione tra il '96 e il '97.
Un caso, quello dei presunti orrori della setta dei «Bambini di Satana», che sconvolse la coscienza del Paese per due volte e per ragioni opposte. Prima per la gravità dei crimini contestati all'allora 33enne Marco Dimitri, leader del gruppo degli adoratori del demonio; poi per la clamorosa assoluzione che dichiarò Dimitri e i suoi «diabolici bambini» sostanzialmente estranei agli obbrobri (violenze sessuali, profanazioni di tombe, oltraggio di cadaveri ecc.) oggetto delle accuse.
Dopo essere «riabilitato» dalla giustizia italiana, Marco Dimitri si era ritirato nella sua casa in via Riva Reno dove ieri è stato ritrovato il suo corpo senza vita, stroncato da un malore.
Un'esistenza segnata indelebilmente da una vicenda che all'epoca monopolizzò a lungo l'interesse dei media nazionali e stranieri. Una storiaccia da incubo che aveva in sé tutti gli elementi di maggiore «richiamo» della cronaca nera; le famose tre «s» di sesso, sangue e soldi, più una quarta «s» altrettanto inquietante: quella di Satana.
I Bambini di Satana fondati da Dimitri spaccarono l'Italia tra colpevolisti (la maggioranza) e innocentisti, ma alla fine ebbero ragione questi ultimi. Che si spinsero addirittura a ipotizzare che il «gran capo degli adoratori di Belzebù» e i suoi quattro accoliti, fossero in realtà al centro di una «montatura giudiziaria e mediatica».
I giornali andarono a nozze e la «brutta» faccia di Dimitri fu sbattuta in prima pagina sotto un'unica parola: «MOSTRO!» (a caratteri cubitali e col punto esclamativo).
Nessun rilievo per la sua difesa: «La ragazza che mi accusano di aver violentato non l'ho mai vista. Mi hanno incastrato»; la risposta di un giornalista fu: «Di solito a essere incastrati sono gli innocenti. Tu invece sei colpevole». Giusto per far capire che aria tirasse attorno a Dimitri e soci.
Contro la «setta» furono utilizzati strumenti investigativi di ogni tipo e le finanze dell'«infernale» associazione ideata da Dimitri fu passata al setaccio per smascherare il «tesoro» del movimento. Non fu trovato nulla di compromettente.
Tante invece le leggende metropolitane attorno ai due luoghi misteriosi dove si sarebbero svolti i rituali: la casa di Dimitri in via Riva di Reno, dove ieri il 58enne è morto, e Villa Ghigi dove la cosa più sconcertante trovata dagli investigatori fu una tarantola viva chiusa in gabbia, decine di lettere di ammiratori di Dimitri e una stella a cinque punte in un cerchio: macabri cimeli mostrati pubblicamente con gran dispiego di telecamere.
Un
po' poco per «20 anni di carcere», come richiesto dal pm durante il processo. Arrivò invece l'assoluzione, con 100 mila euro di risarcimento. E tante scuse.Ormai, i suoi segreti neri, Dimitri se li è portati nella tomba.
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