Lando Sileoni, segretario generale del maggiore sindacato bancario, la Fabi: il governo ha messo le banche al centro della rilancio dell'economia. Giusto così?
«Non poteva essere altrimenti. Solo le banche conoscono bene tutto il territorio e il tessuto economico nazionale. Ma ci sono aspetti delicati che vanno spiegati e che non sono nel decreto. Uno di tipo organizzativo e l'altro politico».
Iniziamo dall'organizzativo.
«Partiamo da un dato sottovalutato: in questo momento il 65% del personale bancario in Italia è in smart working. La conseguenza è che ogni rapporto quotidiano tra i dirigenti rimasti nelle direzioni, i dipendenti nella trincea delle filiali e chi sta a casa è molto rallentato. E qualunque tipo di nuova norma deve scontare questo passaggio. Inoltre chi sta al governo deve considerare la complessità di un'operazione di finanziamento bancario».
Ci faccia capire.
«È un altro aspetto, sottovalutato: ammesso che tutti fossero normalmente sul posto di lavoro, qualunque nuova disposizione per regolare i rapporti con i clienti sconta un periodo di tempo. Le procedure, che sono standard, vanno adeguate. Le faccio un esempio: di fronte a una richiesta di credito la banca si attiva per chiedere molte informazioni a molteplici soggetti. Inoltre, a seconda dell'importo, ci sono diversi livelli decisionali: si va da semplici comitati crediti fino al cda stesso del gruppo bancario. Tutti gli importi sono oggetto di valutazione in base alle organizzazioni interne alla banca. Se viene richiesto di modificare la procedura standard, le banche si devono adeguare».
E quanto tempo ci vuole?
«Io credo almeno 10 giorni. Bisognerà aspettare almeno la metà della prossima settimana. Poi andrà tutto liscio. Non è un problema di burocrazia».
Dica dell'aspetto più politico.
«La questione di fondo è che per imprese e famiglie il tema è spesso la rata del prestito, del mutuo, lo scoperto di conto corrente. E molti, a torto o a ragione, si aspettavano una quota di aiuto a fondo perduto. Non parliamo di helicopter money, bensì di erogazioni dirette e semplici. Ma questa cosa di fatto non c'è. Inoltre ci sono questioni giuridiche non chiarite».
Per i banchieri?
«Sì. Parliamo di questioni delicate quali, per esempio, scudo penale, concorso in bancarotta o ricorso abusivo del credito. Sono criticità legate ai finanziamenti di cui il decreto deve tener conto. Ci sono troppe casistiche determinanti che dovranno essere vagliate per ora non previste».
Qualche esempio?
«Un'azienda che chieda una cifra importante ma che sta per fallire, o che ha già avuto problemi con le banche. Questa casistica deve essere chiarita bene ed è molto ampia».
Ma per le banche ci sono anche rischi finanziari non graditi? O costi occulti?
«Questo mi pare di no. Rischi non ce ne sono da quello che si sa. Il governo voleva assunzione di rischio fino a 25mila euro, ma è stato superato. Solo per i grandi importi la percentuale di garanzia, inferiore al 100%, preoccupa un po'».
E le sofferenze future?
«È un aspetto importante. Le banche italiane sono passate da 200 a 50 miliardi. Bisognerà evitare che si torni a salire. Anche se con la garanzia dello Stato»
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