"Il bandito Giuliano era vivo. A essere ucciso fu un sosia"

Il legale di Turiddu lo rivelò in punto di morte all'uomo che lo curava: «Sulla storia c'è ancora il segreto di Stato»

"Il bandito Giuliano era vivo. A essere ucciso fu un sosia"

Castelvetrano (Trapani), 5 luglio 1950: «Di sicuro c'è solo che è morto». Il mitico attacco - studiato in tutte le scuole di giornalismo - del reportage che Tommaso Besozzi pubblicò sull'Europeo era, forse, una fake news. Insomma, la versione ufficiale secondo cui il bandito Salvatore Giuliano fu ammazzato in un conflitto a fuoco con i carabiniere sarebbe solo la «ricostruzione di comodo» fornita dalle istituzioni dell'epoca per coprire una verità ben diversa. E politicamente scomoda. Quale? A raccontarla al Giornale è il signor Giusto (per gli amici «Giosi») Zito, 48 anni, un infermiere dell'ospedale di Castelvetrano al quale l'avvocato Gregorio Di Maria, storico legale di fiducia di Giuliano, avrebbe rivelato in punto di morte «l'incofessabile segreto» di cui era stato depositario per una vita intera.

«L'avvocato Di Maria ai tempi in cui era ricoverato in gravi condizioni nel nosocomio in cui prestavo servizio, mi svelò prima di morire che il cadavere fatto trovare il 5 luglio crivellato di colpi nel cortile della sua abitazione non era quello del celebre bandito ma di un suo sosia, tale Antonino Scianna», sostiene con certezza Zito. Che va oltre: «La salma che oggi giace nel cimitero di Montelepre non è di Salvatore Giuliano. Il quale è sì morto ma negli Stati Uniti dove si era rifugiato protetto dai servizi segreti e il suo corpo non è mai rientrato in Italia».

Ma come mai solo oggi, a quasi 70 anni dalla morte di Giuliano, Zito si è deciso a parlare? «In passato - ci dice l'infermiere di Castelvetrano - sono stato ascoltato da vari pm che hanno indagato sul mistero della morte di Giuliano. Successivamente ho contattato vari cronisti per rendere pubblica la notizia ma tutti, per paura di ritorsioni, si sono sempre tirati indietro». Questo fino a pochi giorni fa, quando Zito ha contattato il giornalista-scrittore Angelomauro Calza che sul suo blog ha pubblicato una lunga e coraggiosa intervista. Una sequela di fatti (alcuni dei quali corroborati da prove documentali) che dimostrano come Zito non sia un millantatore ma l'ultimo testimone di una verità oscura su cui nessuno ha interesse a far luce. E che l'infermiere di Castelvetrano sia credibile è dimostrato da più circostanze: due pm lo hanno interrogato come persona informata sui fatti nel periodo in cui riaprirono il «caso Giuliano»; più registri sono ricorsi alle sue «consulenze» per registrare film e documentari sul giallo della morte del bandito; Zito conserva il testo di una lettera di Salvatore Giuliano in cui «Turiddu» si dichiara estraneo all'eccidio di Portella della Ginestra del primo maggio 1947 facendo i nomi eccellenti dei veri responsabili morali e materiali di quella strage.

Si trattò di una strage di Stato? «L'avvocato Di Maria - ci spiega Zito - mi disse a più riprese che secondo il memoriale che gli aveva consegnato Giuliano la responsabile della morte degli 11 lavoratori e degli spari contro la folla di manifestanti fu una certa politica preoccupata dal fatto che il Blocco del popolo nelle elezioni regionali del '47 potesse privilegiare uno schieramento piuttosto che un altro».

Ma dopo la sua fuga negli Usa, «Turiddu» fece mai ritorno in Italia? «In una sola occasione - svela Zito al Giornale -: fu nel gennaio del 1971 in occasione dei funerali della madre di Salvatore. Giuliano fu fatto atterrare dai servizi segreti a Catania con volo proveniente dagli Stati Uniti e poi rispedito negli States».

Oggi, a 70 anni, dalla morte «inscenata» del

bandito, sul caso Giuliano vige ancora il segreto di Stato. «Il governo - conclude Zito - avevano garantito di togliere il segreto tre anni fa. Invece lo ha confermato sine die».

Il motivo? «Io un'idea me la sono fatta. E lei?».

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