È già da qualche tempo che la questione femminile sta tenendo banco all’interno del Partito democratico. E diventa ancora più urgente dopo che Paola De Micheli ha annunciato le sue dimissioni da vicesegretaria per fare il ministro dei Trasporti e dopo che il presidente del Pd Paolo Gentiloni è stato nominato commissario dell’Unione europea. Si tratta di due cariche molto importanti che dovrebbero essere guidate da altrettante donne. Almeno stando a quanto promesso dal segretario Nicola Zingaretti in ottica di parità di genere negli organismi dirigenti. Un impegno preso nella sua mozione congressuale e nel nuovo statuto del Pd.
Come riportato da Repubblica, per la presidenza sarebbero in corsa Irene Tinagli, l'ex ministra Roberta Pinotti e la giovane deputata Lia Quartapelle. La prima sembra in pole position. Si tratta di un’economista esterna al partito ed è capo della commissione per i problemi economici e monetari (Econ) del Parlamento europeo, in sostituzione del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Se Tinagli dovesse rifiutare, si andrebbe sulla senatrice Pinotti oppure sulla deputata lombarda. Inoltre, potrebbe spuntare un outsider come la scrittrice Chiara Gamberale, che potrebbe portare un’aria di novità all’interno del partito. Ora non resta che attendere l’esito del voto emiliano, previsto a fine gennaio. Dopo ci sarà l’assemblea nazionale che dovrà eleggere la nuova presidente e in quel caso potrebbero essere gli uomini a sentirsi in minoranza perché gli attuali vice sono Anna Ascani e Debora Serracchiani.
Paola De Micheli ha sottolineato che il Pd non può più perdere tempo perché questa vicenda “è un tema dirimente per un grande partito come il nostro”. L’ex ministro Marianna Madia è stata ancora maggiormente dura e ha affermato che avere una donna presidente del Pd è necessario e che si dovrebbe smettere di affidare quasi sempre agli uomini i ruoli esecutivi. “È mai possibile - chiede la deputata dem - che il centrodestra, che ha una leader come la Meloni, debba essere più avanti del centrosinistra?”. Sulla stessa linea d’onda anche la sottosegretaria al Lavoro Francesca Puglisi, la quale ha evidenziato che”adesso gli alibi sono finiti: gli strumenti ci sono e bisogna usarli".
Cambiare gli assetti del Pd non sarà certamante facile, a partire dagli stessi vertici. Basti pensare che Andrea Orlando ha deciso di rimanere, riunciando a fare il ministro, a patto però di diventare vicesegretario unico.
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