Il partito repubblicano è sempre più diviso sulla guerra in Ucraina, un divario apparso evidente sul palco del secondo dibattito tra i candidati alle primarie Gop, che invece si sono mostrati uniti nell'attaccare Joe Biden. I sette aspiranti alla nomination saliti sul palco in California hanno provato anche a prendere maggiormente di mira il rivale di partito Donald Trump, ancora una volta assente fisicamente, ma in realtà più presente che mai. Tutti loro stanno lottando per diventare l'alternativa al tycoon, che tuttavia rimane il candidato da battere con un distacco abissale di circa 30 punti nei sondaggi rispetto allo sfidante più vicino.
L'ex governatore del New Jersey Chris Christie è stato efficace nel sottolineare che l'assenza di Trump dimostra mancanza di rispetto per gli elettori, mentre per il governatore della Florida Ron DeSantis l'ex presidente «dovrebbe essere qui, invece è missing in action, assente». L'ex ambasciatrice all'Onu Nikki Haley ha da parte sua criticato Trump per quello che non ha fatto nei confronti della Cina, ossia si è concentrato sull'economia e sul commercio, ma ha fallito sulle questioni di sicurezza. Le differenze sostanziali tra i candidati Gop, comunque, sono emerse soprattutto sull'Ucraina, questione centrale anche in Congresso dove si sta tentando di trovare un compromesso per evitare lo shutdown (cruciale il nodo dei nuovi finanziamenti, e precisamente i 25 miliardi chiesti da Biden). «È nel nostro interesse finire questa guerra, basta assegni in bianco a Kiev», ha tuonato DeSantis, senza tuttavia spiegare la sua strategia. Per Haley e l'ex vice presidente Mike Pence, invece, una vittoria della Russia sarebbe una vittoria della Cina. E il senatore Tim Scott vuole continuare a sostenere Kiev: «Il 90% delle risorse che inviamo in Ucraina sono garantite come prestito. Il nostro interesse vitale nazionale è indebolire l'esercito russo». Mentre per l'imprenditore Vivek Ramaswamy, serve un «piano di pace ragionevole» per porre fine alla guerra.
Trump intanto ha tenuto un comizio in Michigan fra i lavoratori dell'industria dell'auto in sciopero (in una fabbrica non sindacalizzata), ignorando completamente i rivali di partito. «Sono qui per difendere la classe lavoratrice», ha detto l'ex presidente agli operai, spiegando loro che la politica di Biden per le auto elettriche non farà altro che favorire la Cina eliminando migliaia di posti di lavoro.
In Congresso, invece, ieri è andata in scena la prima udienza dell'inchiesta per l'impeachment contro Biden, accusato dai repubblicani di aver favorito i controversi affari esteri del figlio Hunter quando era vice presidente sfruttando la sua posizione, e di averne anche tratto benefici personali. L'inquilino della Casa Bianca «ha abusato della sua carica pubblica per il guadagno finanziario della sua famiglia», ha affermato James Comer, presidente della commissione di sorveglianza, una delle tre (con giustizia e fisco) che hanno annunciato la presentazione dei risultati di mesi di indagini.
«Biden ha mentito al popolo americano riguardo la sua conoscenza e partecipazione ai piani imprenditoriali corrotti della sua famiglia», ha continuato. Per i dem, invece, «i repubblicani non hanno niente» su di lui, e hanno solo voluto avviare un'inchiesta dannosa a tempo indeterminato durante l'anno elettorale.
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