Adesso basta; la ricreazione è finita. D'ora in poi il popolo degli smart workers verrà valutato sulla base di pagelle mensili. E chi verrà scoperto a girarsi i pollici verrà rispedito nella bolgia degli uffici statali. Anzi no: forse. Chissà.
Nemmeno il tempo di fare un annuncio audace, in un'intervista al Messaggero, e il ministro Fabiana Dadone si ritrova nella tempesta. I sindacati la accusano di voler introdurre criteri punitivi; lei nega, precisa, si difende. Risultato: c'è il rischio che la necessaria riforma del telelavoro, di fatto nato sotto la spinta dell'emergenza pandemia, si impantani nelle sabbie mobili tricolori. Fra minacce, proclami, distinguo.
L'idea del ministro è semplice e ardita: mettere ordine in un mondo che ha risucchiato le nostre vite. Centinaia di migliaia di persone smanettano da casa, ma sui risultati si discute. Il giuslavorista Pietro Ichino esplicita un retropensiero maligno: «Lo smart working per i dipendenti pubblici? Una vacanza retribuita».
La titolare della pubblica amministrazione corre ai ripari prevedendo una rete di monitoraggio mensile: ecco dunque le pagelle con i voti mensili. Una rivoluzione, ma Dadone pensa che questa stagione irripetibile si presti a un cambiamento epocale.
L'obiettivo è alzare l'asticella della produttività degli impiegati, spesso giudicati con uno stereotipo e un'alzata di spalle. Ma il punto decisivo è quello seguente: chi non terrà il passo, insomma chi si beccherà un voto sotto la sufficienza, non troverà una busta paga più leggera, ma verrà rispedito in ufficio. Un punto questo che suscita molte perplessità e non convince.
Siamo alla revoca del telelavoro e i sindacati, letto il Messaggero, insorgono. La Fb Cgil è sul piede di guerra: la ministra brandisce lo smart working «come premio o punizione».
Dadone prova a buttare acqua sul fuoco: «Mai pensato di revocare lo smart working a chi non raggiunge gli obiettivi».
E però il ministro non abbandona la trincea delle riforme. Dunque, la prende da lontano: «Voglio sgomberare il campo da qualsiasi equivoco: lo smart working non è un'arma a favore o contro il lavoratore, è un modo di organizzare il lavoro per rendere la pubblica amministrazione più efficiente. Se non raggiungi gli obiettivi devi andare a casa. Il lavoro agile valorizza gli obiettivi: chi si gira i pollici deve essere accompagnato fuori, a prescindere dallo stesso lavoro agile, anche se poi quest'ultimo aiuta a stanare chi lavora poco. L'ho sempre detto».
Insomma, un mezzo pasticcio e una gran confusione: il futuro viene avanti, ma fra tirate ideologiche e riflessi corporativi non tutti gli vanno incontro. «Certo, l'idea di rimandare in ufficio chi non s'impegna - spiega Cesare Pozzoli, uno dei più noti giuslavoristi milanesi - mi pare ispirata a una logica vecchia e arretrata che dovrebbe essere superata. Ci vorrebbero criteri più attuali per pesare la dedizione dei dipendenti pubblici».
Siamo nella nebbia: con l'attuazione dei piani chiamati Pola si vorrebbe estendere il lavoro agile al 60 per cento almeno dei cosiddetti smartabili, insomma quelli che potrebbero guadagnarsi il pane da remoto.
E si pensa anche a premi per i dirigenti che svilupperanno i Pola. Ma la materia è controversa e i sindacati non mollano la presa.Intanto, nella pancia del Milleproroghe arriva la proroga della stabilizzazione dei precari della Pa, con una serie di assunzioni a tempo indeterminato.
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