Salvo sorprese, dopo mesi di concordanza nelle mosse di politica monetaria, le gemelle siamesi sono pronte a separarsi. Ciascuna per la propria strada: da una parte la Federal Reserve, paralizzata nelle sue scelte da un'inflazione montante che rischia di allungare i tentacoli fino alle urne per le presidenziali; dall'altra la Bce, sempre più convinta che giugno sia il momento adatto per rompere gli indugi e tagliare i tassi, lasciati ieri fermi al 4,50%. Pur col consueto linguaggio ricco di formule dubitative, è stata Christine Lagarde (nella foto) a rendere chiaro che Francoforte è pronta a varcare il Meno: «Se le prospettive di inflazione, la dinamica dell'inflazione di fondo e l'intensità della trasmissione della politica monetaria accresceranno ulteriormente la certezza che l'inflazione stia convergendo stabilmente verso l'obiettivo, sarebbe opportuno ridurre l'attuale livello di restrizione della politica monetaria», ha spiegato la presidente dell'Eurotower. Cautele forse eccessive, tenuto anche conto del crescente consenso che si va coagulando nel board a favore di un allentamento fra un paio di mesi. Una complessiva minor rigidità che ha indotto quella minoranza in consiglio di cui fa parte anche il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, a proporre una sforbiciata a sorpresa del costo del denaro già nella riunione di ieri. Salvo poi concordare con chi si sentiva più sicuro ad aspettare fino a giugno. Anche in questo caso si tratta di una prudenza probabilmente fuori luogo. Se la Fed sembra aver fatto male i calcoli con la resilienza del mercato del lavoro, il pilastro che ha cementato consumi e crescita economica dando così la stura alla risalita dei prezzi, l'eurozona è in una situazione ben diversa, impantanata com'è in una sorta di stagnazione generalizzata «che finisce per danneggiare pure le finanze pubbliche. Con l'Italia (e non solo) destinata a subire da Bruxelles una procedura d'infrazione per disavanzo eccessivo. Cartellino giallo che non dovrebbe però precludere l'attivazione dello scudo anti-spread. «C'è una condizione alternativa che sarà presa in considerazione», ha spiegato la leader della Bce riferendosi al fatto che basterà che il Paese sotto esame sottoscriva le raccomandazioni del Consiglio Ue.
Lagarde ha comunque ricordato alcuni fattori favorevoli a un calo del costo del denaro: la produzione rimane contenuta; il mercato del lavoro è meno rigido; la fase calante dell'inflazione continua; una ripresa economica è prevista solo nei prossimi trimestri. Ma da luglio in poi, l'evoluzione della politica monetaria continuerà a essere legata ai dati sui profitti aziendali, sulle buste paghe e sulla produttività. Motivi sufficienti per non avere un piano di volo già stabilito, nonostante il mercato metta in conto una riduzione dei tassi di almeno un centinaio di punti base entro fine dicembre e, più in generale, il Fondo monetario ritenga ci siano le condizioni per un cambio di rotta da parte delle banche centrali nella seconda metà dell'anno. «Non ci impegniamo preventivamente su un percorso particolare dei tassi» - ha ribadito l'ex Fmi - . In aprile avremo alcuni dati, a giugno molti di più, e anche le nuove proiezioni».
Indicazioni macro che dovrebbero far premio su ciò che farà la Fed. Nel rimarcare l'indipendenza della Bce, la Lagarde ha garantito che «dipendiamo dai dati, non dalla Fed».
Non perseguendo obiettivi valutari, l'Eurotower è insomma convinta che, se ci saranno le condizioni, l'eventuale disaccoppiamento con Washington avverrà senza tener conto delle possibili implicazioni derivanti da un euro più forte.
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