Bergoglio come Giorgio VI, fiducia cieca in chi lo curava nell'ombra

Le scelte mediche del Pontefice solo con un cenno di assenso dell'infermiere. Il re scelse sir Weir

Bergoglio come Giorgio VI, fiducia cieca in chi lo curava nell'ombra
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Massimiliano Strappetti. Imprevedibilmente è stato l'uomo forte della speranza, il silenzioso compagno della fede, l'assistente vigile di papa Francesco. Un infermiere di cinquantaquattro anni, presente sempre, alle spalle e al fianco del pontefice, l'uomo che gli reggeva il braccio destro e questo muoveva appena per l'ultima benedizione di Pasqua, l'ombra accanto al sole, nascosto dietro le lenti scure, nessuna pubblica parola, moltissimi sussurri all'orecchio della santità. Storie di papi e di re, attorniati da scienziati e medici di fama, primari, specialisti verso i quali sovrani di Stato e capi religiosi non hanno mai avuto totale fiducia e confidenza, quasi temendone la verità. Lo ribadisce il dottor Sergio Alfieri, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche al Policlinico Gemelli, Alfieri è il chirurgo che ha operato Bergoglio e che di lui ha curato la salute, assieme ad una équipe di altissima professionalità: «In genere il Papa si fidava poco di noi medici ma nell'ultimo periodo si era riavvicinato a noi. Quando gli parlava un medico, lui guardava Strappetti, solo dopo un suo cenno di assenso seguiva i nostri consigli». Il segno d'intesa ha cambiato la cronaca e la storia, un infermiere, con o senza l'apostrofo, non può perdere i nervi, deve maneggiare orinali e siringhe, accudire, servire, assistere, ascoltare, restare da solo accanto alla sofferenza, a volte alla morte, sentirne il respiro prima lento, poi affannato, infine assente. È quello che Jorge Bergoglio ha voluto provare con la sola presenza e voce di Massimiliano Strappetti che ha una famiglia, è sposato e padre e, dicono, sia tifoso della Lazio, probabilmente questo gli costerà caro tra i fedeli romanisti. Fidarsi, come una preghiera per salvare il corpo prima dell'anima, attendere il consiglio, comprenderne l'affetto, capirne il significato.

Papa Francesco non è stato il primo, una storia simile accadde in Inghilterra durante il regno di Giorgio VI, padre di Elisabetta II. Il re, ammalato, si affidò alle cure di sir John Weir, un omeopata scozzese che alleviava i giorni difficili e di sofferenza acuta del monarca, raccontando barzellette. Weir, che, al tempo, aveva 72 anni, era stato il medico anche di Edoardo, fratello di Giorgio, organizzava consulti un po' particolari con un paio di colleghi, il gallese Daniel Davies, patologo di 51 anni, e sir Horace Evans, specialista in malattie renali e delle arterie. Il gruppetto non era ben visto a corte, soprattutto per l'allegria con la quale accompagnavano le visite al sovrano, lo stesso trattamento, un misto di humour e di comprensione, insieme con la tenacia della cura, fu la caratteristica di Lionel George Logue, scienziato e logopedista australiano che fu chiamato a corte per correggere la balbuzie di cui era afflitto il duca di York poi re d'Inghilterra, appunto Giorgio VI. Non credo che a Massimiliano Strappetti verrà dedicato la parte di un racconto cinematografico come è accaduto con Logue, protagonista de Il discorso del re, nel quale il suo ruolo è meravigliosamente interpretato da Geoffrey Rush, anch'egli australiano come il medico. È, dunque, la storia discreta ma decisiva di chi lavora nel canneto, nascosto al popolo, lontano dalle interviste e dalla pubblicità mediatica, figure che operano per salvare la vita altrui.

Sabato, in piazza San Pietro, sfileranno cento e settanta capi di stato e di governo, migliaia i fedeli e

i pellegrini. Nel silenzio del cordoglio e nel brusio delle preghiere, ci sarà un uomo più solo di tutti gli altri, basterà di nuovo un cenno di Massimiliano Strappetti e Jorge Francesco lascerà definitivamente il mondo.

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