Berlusconi sposa la linea Mattarella sulla legge elettorale. Nessun accelerazione sul post Italicum; nessun patto prima che la Consulta renda note le motivazioni della sentenza con cui ha bocciato parti della vecchia legge. In pratica il volere del capo dello Stato che non ha alcuna fretta di sciogliere le Camere ma soprattutto lo farà quando il Parlamento avrà riscritto le regole del gioco. Regole che dovranno essere costituzionalmente inattaccabili ma soprattutto omogenee tra Camera e Senato. Lo pensa pure il Cavaliere, pronto al confronto con tutte le altre forze politiche e ottimista che alla fine un accordo si farà. Nessuna fretta, però. E in questo la linea diverge un po' da quella di Salvini e Meloni. I quali scalpitano, annusano la nuova aria «sovranista» e anti-europeista, e chiedono a gran voce il ritorno alle urne. Lo fa anche Berlusconi ma con toni e tempi del tutto diversi.
L'ex premier si aspetta la sentenza della Corte di Strasburgo che potrebbe anche arrivare prima dell'estate. A quel punto tutto cambierebbe anche se il Cavaliere ha confessato di voler partecipare attivamente alla prossima campagna elettorale per le Politiche a prescindere dal verdetto degli eurogiudici. Ma la spinta propulsiva del leader sarebbe del tutto diversa se, oltre ad essere moralmente riabilitato, Berlusconi potesse pure candidarsi. Toni bassi, però. Anche nei confronti del governo in carica. Il parere di palazzo Chigi contro il ricorso del Cavaliere a Strasburgo non lo ha infastidito più di tanto: era scontato che il governo difendesse l'applicazione della legge Severino. Ma ora la macchina s'è messa in moto e il procedimento sul suo caso potrebbe finalmente sbloccarsi.
Nell'attesa, Berlusconi attende gli sviluppi politici sulla legge elettorale con un discreto ottimismo. Più passa il tempo più il Pd cala nei sondaggi. Le divisioni interne e l'incapacità del governo Gentiloni di aggredire i problemi economici e fiscali del Paese, non possono che favorire l'ascesa del centrodestra. In più il «fattore Raggi» potrebbe sgonfiare un po' il Movimento 5 Stelle, la cui vittoria - quella sì - sarebbe un pericolo per l'Italia.
Certo che i rapporti con gli alleati, ad oggi, sono ridotti al lumicino. Salvini continua a bastonare gli azzurri e a smarcarsi. Ieri, per esempio, è andato giù duro contro il capo della Bce, Mario Draghi: «L'euro non è irreversibile come sostiene Draghi - ha sentenziato il capo del Carroccio -. Mi spiace ci sia un italiano complice della Ue che sta massacrando gli italiani e l'economia italiana». Un giudizio che il Cavaliere non condivide affatto anche perché una figura come Draghi, per il Cavaliere, potrebbe invece essere il futuro leader di un centrodestra moderato e liberale. Ma tant'è. Il Cavaliere minimizza le uscite di Salvini anche se non è passato inosservato che, per la prima volta, il leghista non abbia parlato di primarie ma di un generico «i partiti guida li scelgono gli elettori in cabina elettorale».
Più morbidi i rapporti con Fratelli d'Italia la cui leader, Giorgia Meloni, comincia a soffrire la sovraesposizione del capo del Carroccio e le sue ambizioni leaderistiche. Ma Berlusconi non se ne cura e ribadisce che solo lui sarebbe in grado di federare tutti. E tenere tutti insieme per vincere.
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