I buoni sentimenti non sono segno di debolezza in una politica sempre più incarognita, deragliata da anni con i «vaffa» in piazza di Beppe Grillo ed esplosa sui social con auguri di morte e accostamenti ai peggiori dittatori della storia.
Qualche irriducibile invasato avrà visto i segni di un inciucio retrodatato nell'immagine di Pierluigi Bersani che «per mezz'ora» tiene tra le sua mani quella di Silvio Berlusconi sofferente, ricoverato al San Raffaele di Milano dopo l'agguato della statuetta del 13 dicembre 2009. Quasi undici anni fa, un'epoca quasi preistorica con il Cavaliere saldamente a Palazzo Chigi e Bersani fresco segretario del Pd e capo dell'opposizione con grandi ambizioni politiche. Ma la scena diventa vivida, quasi odierna, descritta dalla voce commossa dell'ex presidente del Consiglio in collegamento con diMartedì da Giovanni Floris.
Il conduttore gli chiede se vuole salutare l'attuale deputato Leu, l'ospite successivo. E il Cavaliere non si fa pregare, ricordando un episodio quasi intimo di solidarietà, di vicinanza umana tra un magnate sceso in politica e un ex funzionario del Pci sveglio e brillante andato a un passo dalla guida del Paese. «Dopo l'attentato che ebbi a seguire in piazza Duomo a Milano, venne a trovarmi in ospedale e rimase con me tenendomi la mia mano tra le sue per mezz'ora. È una persona perbene e generosa» lo ha elogiato.
Non è stato detto che il destino invertì i ruoli quando il 6 gennaio 2014 il segretario dem rischiò la vita per un ictus emorragico domato con un miracolo professionale dei neurochirurghi dell'ospedale di Parma. Raccontano ancora oggi il dolore di Berlusconi che, al di là di «un affettuoso abbraccio a un avversario leale», dimostrò apprensione per l'avversario a un passo dalla morte. E pensare che soltanto l'anno prima alle elezioni del 2013i due leader si erano sfidati senza tregua per assumere la conduzione del Paese dopo un anno e mezzo di democrazia sospesa con il governo Monti. Bersani dissipò il suo largo vantaggio con battute strampalate su giaguari e tacchini, mentre un Berlusconi dato per sconfitto strappò un pareggio impensabile che portò all'esecutivo Letta di larghe intese.
Il clima poi si deteriorò con la cacciata del leader azzurro dal Senato, orchestrata dal Pd dopo la condanna sul caso Mediaset. E la convivenza politica tra i due finì male. Ma non al punto di riallacciare rapporti amichevoli dopo il grave malore del leader della sinistra. Restano in fin dei conti due padani estroversi dalla battuta facile, accomunati dalla passione per la vita e la politica, oltre alla data di nascita del 29 settembre che li unisce nella celebrazione del compleanno.
A sinistra nel 1984 fu accolta con fastidio e sdegno la visita del segretario missino Giorgio Almirante alla camera ardente di Enrico Berlinguer. «Vengo a salutare un uomo estremamente onesto» spiegò il leader della Fiamma.
Oggi qualche nipotino dei compagni intransigenti scuoterà la testa nel rivedere Bersani a intenerirsi per un Caimano indegno di compassione. Ma viva Berlusconi e viva Bersani: anche Don Camillo e Peppone si legnavano, ma l'odio e il disprezzo della persona restavano fuori da parrocchia e municipio.
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