Alla Festa di Atreju il popolo di Fratelli d'Italia accoglie Fausto Bertinotti. Al Circo Massimo è lui l'ospite «straniero» chiamato ad aprire la settimana di dibattiti della kermesse, oggi alla 25esima edizione. Lo storico leader di Rifondazione torna dopo 18 anni. Era il 16 settembre 2006 e l'allora presidente della Camera accettò l'invito alla festa. «Sono venuto qui perché penso che solo gettando ponti, si può costruire la convivenza civile», le parole di Bertinotti, chiamato a confrontarsi con Gianfranco Fini con Giorgia Meloni come moderatrice nemmeno trentenne. Stavolta accanto a lui c'è Pietrangelo Buttafuoco in veste di moderatore e brillante distributore di stimoli intellettuali e Paolo Bonolis, nella sua qualità di uomo non allineato.
Proprio sul «disallineamento» si concentra il dibattito. Fausto Bertinotti non ha dubbi: «Oggi essere non allineati significa prendere in mano la responsabilità di dire io non ci sto. Il problema è che per avere l'eresia devi avere la Chiesa, per essere eterodosso devi fare i conti con chi è ortodosso». Il disallineamento insomma sfugge alle ideologie, sempre più deboli («la Cina stessa oggi ha poco a che fare con Mao») ma riguarda «l'opposizione al sistema capitalistico finanziario globale e la diserzione dalla guerra». E la sinistra? «Malconcia. La Schlein fa quello che può».
C'è anche un altro problema per Bertinotti: la centralità stessa del nostro mondo occidentale. «Possiamo discutere se o no l'Occidente viva o no una crisi di identità. Ma l'assenza di centralità è chiara. E poi la guerra. Quando il Pontefice disse che eravamo nella guerra mondiale a pezzi ci fu un mutismo della politica. Fu presa come una invettiva di un vecchio signore. Oggi è la realtà e vedete le connessioni, ultimo caso la Siria».
C'è poi il tema dell'identità umana rispetto all'incedere dell'innovazione e alla riscrittura stessa delle regole di convivenza con la tecnologia, soprattutto in funzione delle nuove generazioni. «Oggi più che mai con l'Intelligenza Artificiale c'è il rischio che l'uomo finisca come una appendice della macchina. Se non resta una autonomia dell'umano la storia è finita e la geografia viene sconvolta. Non dobbiamo guardare alla macchina ma al residuo, quello che la macchina non riesce a raggiungere, l'autonomia dell'uomo, ciò che in ogni tempo e circostanza perfino nei lager ha resistito». Un tema che anche Paolo Bonolis mostra di sentire sulla pelle, da padre di cinque figli. «La tecnologia prêt à porter sta portando a perdere le nostre competenze» spiega il conduttore televisivo. «La mia generazione era abituata a barcamenarsi tra lo spazio e il tempo. Negli smartphone perdi la fatica che fai nella realtà tridimensionale. Quando ritorni nella realtà sei disorientato. Se non fai fatica per ottenere qualcosa quella cosa non ha alcun valore. Non vorrei che le prossime generazioni finiscano per diventare pedine nelle mani di pochi, come una mandria al pascolo».
Infine il pensiero al presente e alla situazione di Stellantis da chi ha legato buona parte della sua storia di sindacalismo alle lotte con la Fiat. «Stellantis ha visto ridurre sistematicamente il lavoro, la produzione, i salari, rendendo al contempo sempre più ricchi gli azionisti e i vertici - commenta Bertinotti -. Vincono i cattivi, che si mimetizzano fino a far sembrare naturale che sia così.
Oggi i modelli europei sono in crisi perché l'avvento di politiche liberali ha abbattuto la presenza pubblica in economia. Pure in Germania il modello tradizionale non regge più. La Cina programma a vent'anni, noi in Europa non ragioniamo oltre i sei mesi».
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