Bettini schiaffeggia il suo Pd "Firmo per tre referendum"

La svolta del teorico del governo Conte: "Sul garantismo non possiamo farci superare da Salvini". E Renzi esulta

Bettini schiaffeggia il suo Pd "Firmo per tre referendum"

La notizia che Goffredo Bettini dopodomani andrà a firmare i referendum nella sede del Partito radicale è nella scelta dei tempi: siamo mani e piedi dentro il semestre bianco, il tempo sospeso del governo Draghi, in cui ognuno porta acqua al proprio mulino perché il presidente Mattarella non può più sciogliere le Camere. Tanto più che Bettini, classe 1952, potente esponente del Pd romano dai tempi in cui era il Pci, nel suo lungo intervento sul Foglio scrive anche che la riforma Cartabia non è sufficiente a «guarire una giustizia malata» e che «siamo ancora lontani da uno Stato democratico» che da un lato punisca fermamente i criminali e dall'altro riesca a «non distruggere le persone» con «forme di vendetta, di sofferenza e di umiliazione».

Farsi fotografare in un gazebo di Matteo Salvini era fuori discussione per il longevo e acrobatico spin doctor, suggeritore dell'ex segretario Nicola Zingaretti diventato poi il più ascoltato consigliori di Giuseppe Conte, oltre che teorico e stratega del governo giallorosso. Quando il Conte bis è caduto, Bettini ha parlato di «complotto internazionale». Quando Zingaretti ha annunciato le dimissioni, Bettini ha firmato un documento di sostegno a Enrico Letta purché non deflettesse dall'alleanza con i Cinque stelle. Ora sulla giustizia Conte e Letta dicono bianco e lui dice nero.

Classe 1952, è stato architetto delle elezioni a sindaco di Roma di Walter Veltroni e Francesco Rutelli e vicino al Massimo D'Alema che nel 1994 al Manifesto disse che la Lega era una costola della sinistra perché gli operai del Nord votavano per Bossi. Vero è che il contesto storico è cambiato, come si è accanito a precisare lo stesso D'Alema, a cui la frase è rimasta suo malgrado appiccicata addosso, ma il senso dell'operazione rimane uguale.

Bettini agisce «nel ricordo affettuoso dell'amico Marco Pannella», ma resta difficile da comprendere che mentre Conte cerca di rassicurare i Cinque stelle, Bettini firmerà tre referendum su sei: sulla custodia cautelare, sull'abrogazione della legge Severino nella parte in cui vieta di candidarsi e ricoprire cariche elettive a chi è sotto processo, sulla separazione delle carriere. No all'azione diretta di risarcimento nei confronti dei magistrati, perché «può creare un clima di intimidazione». Nel 1987 fu proprio l'amico Pannella a volere (e a vincere) il referendum sulla responsabilità civile dei giudici, ma il contesto storico è attenuante anche per Bettini.

La linea ufficiale del Pd di Enrico Letta sul tema è legata a due uscite del segretario, che fanno apparire Letta più contiano dell'ex alter ego di Conte. La prima è che firmare i referendum sarebbe come «buttare la palla in tribuna», ovvero alimentare la confusione mentre Draghi cerca di tenere insieme i pezzi. La seconda, «basta con la guerra dei trent'anni tra garantisti e impunitisti», gli ha scatenato contro l'ira dei garantisti e degli «impunitisti».

Il primo a gioire per la decisione di Bettini è stato Sandro Gozi, l'eurodeputato di Italia viva eletto nelle liste di Macron. Prima su Twitter, poi ai microfoni di Radio radicale, Gozi ha ringraziato Bettini, criticato Letta e ricordato che anche il leader del suo partito, Matteo Renzi, ha firmato i referendum.

Anche per questo Renzi era stato accusato di intelligenza col «nemico» leghista. Bettini spiega: «Il Pd non può farsi superare dalla Lega sul garantismo. Non si può lasciare questo tema alla destra populista che esibiva il cappio in Parlamento: serve una svolta». Si attende di vedere chi seguirà.

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