Blitz della Finanza al Trivulzio. Ma nel mirino c'è la Regione

Acquisite centinaia di cartelle cliniche. La procura di Milano punta alla catena decisionale. Tra le accuse l'omicidio colposo

Milano, Pio Albergo Trivulzio al centro delle polemiche  (Fotogramma)
Milano, Pio Albergo Trivulzio al centro delle polemiche (Fotogramma)

Non portano via niente, ma fotocopiano tutto: centinaia e centinaia di cartelle cliniche, ognuna ha dentro un nome, una storia, un dramma. La Guardia di finanza fa irruzione al Pio Albergo Trivulzio e alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, il ricovero dove Silvio Berlusconi svolse il suo volontariato aiutando gli anziani, oggi falcidiato anch'esso dall'epidemia. Gli uomini della Guardia di finanza inviati dalla Procura della Repubblica si presentano di primo mattino e vanno diritti alla caccia delle cartelle. Cercano quelle degli ospiti morti ma anche di molti che sono ancora vivi: sono gli anziani che sono stati spostati in direzione delle case di riposo sulla base di un invito della Regione Lombardia per dare sollievo agli ospedali sull'orlo del collasso. E proprio questo allargamento dell'obiettivo fa supporre che il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano possa alzare il tiro dell'inchiesta. Nel mirino potrebbero finire non solo i vertici del Trivulzio e della Sacra Famiglia ma anche gli staff tecnici e politici della Regione, che aprendo le porte allo smistamento nelle Rsa dei malati di Covid-19 avrebbero agevolato il dilagare dell'epidemia nel microcosmo degli ospizi.

Omicidio colposo e epidemia colposa, per non avere adottato tutte le misure necessarie a prevenire il diffondersi dei contagi. Nell'avviso di garanzia che le Fiamme gialle hanno consegnato ieri - oltre ai manager sono indagati anche i due enti - sono indicati i reati che già da giorni avevano fatto irruzione nelle cronache. Il periodo di tempo durante il quale il reato sarebbe stato commesso è ampio, si va dall'ultima settimana di febbraio fino a ora, perché secondo gli inquirenti il reato è di fatto ancora in corso. Il picco dei decessi d'altronde in questi giorni è proseguito e si è anzi intensificato, tanto che nella prima metà di aprile al Pat sono morti circa settanta ospiti: quanti in tutto marzo.

Quanti siano stati uccisi dal coronavirus è, per ora, impossibile dirlo. E non è detto che una risposta precisa possa venire dall'analisi delle cartelle cliniche, che si annuncia oltretutto - vista la imponente dimensione del materiale sequestrato - lunga e faticosa. Ma oltre ai singoli episodi, la Procura intende ricostruire con precisione la catena delle scelte compiute dalla Regione e dalle Rsa. C'è il tema dell'approvvigionamento e della distribuzione del materiale di protezione per medici e infermieri, sollevato dal primario di cardiologia del Pat, Luigi Bergamaschini, ed è il fronte su cui l'ente ostenta maggiore serenità: all'esplodere dell'epidemia nessuno in Italia aveva maschere di scorta, i rifornimenti hanno tardato a lungo e la scelta del Trivulzio è stata quella di privilegiare i reparti a maggior rischio, come pneumologia, e i pazienti sintomatici. Ma sotto esame c'è complessivamente l'intera gestione della crisi nelle due strutture.

Di sicuro, c'è che a un certo punto la situazione esplode: se non sul piano clinico, su quello della comunicazione, dei rapporti con i familiari. La data chiave è l'8 marzo, quando il Trivulzio decide di vietare l'ingresso nei reparti alle badanti private, che spesso sono l'unico canale di comunicazione tra le famiglie e gli ospiti, specie quelli meno lucidi. Da quel giorno, i parenti si ritrovano all'oscuro, e parte il panico alimentato dal ritmo dei decessi.

Ma ieri dall'interno del Pat esce, dopo quelle riportate dal Giornale nei giorni scorsi, un'altra voce che contesta con toni accorati l'immagine di una struttura dove gli anziani morivano abbandonati a se stessi: «la mia - scrive la coordinatrice degli infermieri, Raffaella Pozzi - vuole essere una testimonianza a gran voce di come abbiamo sempre operato per i nostri pazienti, mantenendo sempre un'etica professionale di cura e assistenza a garanzia della dignità umana. Siamo in prima linea fin dal primo giorno. La fatica fisica si sopporta, comincia ad essere difficile sopportare di essere additati come coloro che lasciano morire i pazienti».

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