È una sorpresa tutta italiana. Il blocco dei licenziamenti, che dovrebbe arrivare fra le polemiche fino al marzo 2021, vale anche per i dirigenti. O meglio, questo si ricava da un messaggio dell'Inps del 26 novembre scorso. Può apparire paradossale ma anche i vertici aziendali si piegano alla logica studiata per i lavoratori: accordo sindacale, consenso dell'interessato, retribuzione con la Naspi.
Un meccanismo ingessato che suscita più di una perplessità. Anzitutto, c'è chi ritiene rovinoso il meccanismo escogitato che chiude le imprese in una sorta di bolla, congela la situazione per mesi e mesi, sposta in là i problemi senza risolverli, col risultato che alla fine ci potrebbe essere un'esplosione del tessuto produttivo e un aumento vertiginoso della disoccupazione.
Non solo: il passaggio obbligato attraverso gli accordi sindacali garantisce protezione al lavoratore ma in qualche modo lo imprigiona e lo vincola ad altre logiche. «Se un dipendente - spiega l'avvocato Cesare Pozzoli, uno dei più noti giuslavoristi milanesi - se ne vuole andare perché spunterebbe un incentivo importante o semplicemente perché vuole cambiare vita, non può farlo perché deve essere sottoposto all'accordo fra l'azienda e i sindacati, altrimenti non può percepire nemmeno la Naspi». Tutto questo diventa surreale se si riferisce ai dirigenti che dovrebbero avere un altro metronomo di viaggio. «Sembrava - prosegue Pozzoli - che questa realtà non si dovesse applicare ai dirigenti ma l'Inps riconduce anche loro dentro questo calderone».
Il messaggio dell'Inps sembra spingere in questa direzione: «Si evidenzia che anche il personale dirigente, eventualmente ricorrente agli accordi, ove ricorrano gli altri presupposti di legge, può accedere all'indennità di disoccupazione Naspi».
Qualcosa non quadra, soprattutto se si pensa al dirigente come a un violino solista, fra responsabilità, fiducia e risultati. Invece, si butta anche questa figura nella mischia generale, mettendolo fianco a fianco con l'operaio e il quadro.
«C'è un elemento su cui riflettere - prosegue Pozzoli - nel reticolo non sempre organico delle leggi. Da una parte il dipendente che ha subito un licenziamento disciplinare discriminatorio può accettare un indennizzo e tenersi il licenziamento, dall'altra parte se un'azienda è piegata dalla crisi, deve dimagrire per sopravvivere e trova un accordo con un dipendente, quell'accordo in mancanza di un'intesa con i sindacati, non basta e non dà diritto alla Naspi.
Insomma, il lavoratore non è padrone della sua vita e pure il dirigente può essere vittima di questo eccesso di tutela». Un numero in mezzo ad altri numeri. Senza lo spessore e la carica di sfida che dovrebbe caratterizzare quel ruolo.
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