«Una bomba, è una bomba!». Sono da poco passate le 10 quando Firenze viene scossa da un boato tremendo. Le case tremano, i cittadini avvertono un frastuono anche chilometri di distanza. Una «botta», seguita da molte altre, il fumo nero che si spinge su nel cielo e si vede anche da 20 chilometri, l'odore acre, l'aria irrespirabile. È successo qualcosa di terribile al grande deposito di stoccaggio dell'Eni a Pratignone, nel Comune di Calenzano.
È una mattinata come tante nella piana fiorentina, tra Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino. Operai che vanno al lavoro, pendolari, fabbriche. Anche allo stabilimento Eni, che occupa una superficie di 170mila metri quadrati, è tutto tranquillo. Le autobotti, come sempre, si avvicinano alla pensilina in un'area definita «punto di carico» per fare rifornimento. Qui arriva ogni giorno il gasolio che viene raffinato a Livorno e i camion cisterna lo raccolgono per poi rifornire gli impianti in tutta Italia.
Forse una perdita di liquido durante le operazioni di ricarica, forse una scintilla non si sa provocata da cosa, in un attimo la terra salta in aria. In quel momento nella struttura lavorano 30 tra operai e impiegati e sono presenti diverse autobotti parcheggiate all'altezza degli stalli di approvvigionamento del carburante. Tutto prende fuoco. Due autisti muoiono sul colpo, la palazzina adibita a stazione di rifornimento crolla. Si cercano ancora i corpi di 3 uomini sotto le macerie. Le tute da lavoro si infiammano, si cerca in qualche modo di spegnerle ma è impossibile. Altri tre operai riportano ustioni gravissime su tutto il corpo. Uno di loro viene trasportato al reparto grandi ustionati di Pisa. Gli impiegati vengono sbalzati per diversi metri all'interno del loro ufficio, i vetri gli si sbriciolano addosso, i timpani quasi si sfondano.
Decine di ambulanze e mezzi di soccorso accorrono sul posto. Non c'è nemmeno il bisogno di alzare il telefono per chiedere aiuto al 118, le vicine caserme dei pompieri di Prato e Firenze sentono tutto e fanno partire le autopompe. Nove squadre si precipitano sul posto e si trovano davanti uno scenario di guerra. Schiuma, acqua, tutto il possibile per domare le fiamme e spegnere quell'inferno nel più breve tempo possibile, perché alla tragedia già consumata se ne può aggiungere un'altra, quella sanitaria, vista la nube tossica che si è alzata in cielo. I vigili del fuoco compiono il miracolo e in 50 minuti il fuoco è spento, la nube non c'è più e il livello di C02 nell'aria torna nella norma. Il loro tempestivo lavoro impedisce che la tragedia possa essere ancora più grossa: non ci sono stati contatti, infatti, con gli altri depositi di carburante vicini, «altrimenti sarebbe saltata in aria la città», commenta il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani. Eni, nell'esprimere vicinanza alle famiglie delle vittime, comunica che «sta pienamente collaborando con l'autorità giudiziaria per l'accertamento delle dinamiche e delle cause dell'esplosione».
Chi vive nella zona e ha pensato ad un bombardamento o a un terremoto. Poi sono iniziati ad arrivare gli allert dei Comuni e della Protezione civile: «Chiudere tutto, mettere gli animali in casa».
Frantumate le finestre delle case e aziende vicine, crollati anche alcuni tetti in via Erbosa, a poche centinaia di metri dall'impianto. Famiglie evacuate. Anche in centro storico a Firenze si è sentita «la botta», fino a Scandicci che dista ben 17 chilometri.
Si attiva il protocollo di emergenza per i grandi disastri. I treni regionali vengono sospesi, i voli dell'aeroporto Vespucci di Firenze dirottati e gli svincoli di A1 e A11 chiusi. L'allarme sanitario è diramato, distribuite le mascherine agli abitanti, allertati tutti gli ospedali della Toscana. Il policlinico di Careggi attiva il piano di afflusso massiccio dei feriti, ovvero il blocco dell'attività ordinaria dell'ospedale e spazi riservati al pronto soccorso.
Il direttore Stefano Grifoni rientra d'urgenza da Napoli. A fine serata i feriti sono 26: c'è chi lamenta ustioni alla trachea, chi è rimasto ferito dagli oggetti scagliati come proiettili, chi sente ancora quell'inferno nelle orecchie.
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