Non molti parlano in questi giorni del blocco dei licenziamenti. Tema apparentemente ai margini anche nell'incontro di sabato tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando (in foto) e le parti sociali. Ma la scadenza del 31 marzo, quando si esaurirà la proroga dello stop ai licenziamenti economici, si avvicina ed è ben presente nell'agenda del governo.
Il motivo è sintetizzato in un articolo pubblicato recentemente sul sito Lavoce.info dall'economista Bruno Anastasia dove si fa il punto su che cosa potrebbe accadere quando finirà il blocco. In sintesi, a partire da aprile è da mettere in conto «un flusso di licenziamenti attorno a 200-300mila» unità. Per qualche mese «il flusso ordinario di licenziamenti economici (pari a circa 40-50mila al mese) potrebbe risultare raddoppiato o triplicato». In altre parole, tra 120 e 150mila licenziamenti al mese, fino a quando si ritornerà alla normalità.
Il calcolo mette insieme alcuni dati. Innanzitutto la media dei licenziamenti economici dell'ultimo quinquennio, tra 450 e 500mila all'anno. Poi la riduzione dei licenziamenti causata dal blocco: «Nel 2020 tra aprile e settembre» sono «diminuiti di oltre il 60 per cento rispetto al periodo corrispondente del 2019».
In sostanza mancano all'appello circa 250/300mila licenziamenti «che, in condizioni normali, sarebbero avvenuti e che ora risultano coperti dal ricorso alla cassa integrazione e dal divieto».
I licenziamenti attesi sono un po' inferiori perché secondo Anastasia alcune imprese «si sono aggiustate in altri modi (esodi incentivati, licenziamenti disciplinari o altro)».
Ma è anche possibile che il boomerang licenziamenti sia sottostimato per un effetto poco considerato del blocco: «Il ricorso alla Cig - si legge nell'articolo di Lavoce.info - consente infatti alle imprese un'estrema flessibilizzazione dell'uso della forza lavoro: di fatto, la cassa equivale da un lato alla trasformazione temporanea di rapporti di lavoro a tempo indeterminato in rapporti di lavoro intermittente, dall'altro alla trasformazione temporanea di rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti di lavoro a part-time».
Quando gli ammortizzatori straordinari e gratuiti motivati dal Covid verranno meno, si genereranno «situazioni in cui il rientro al lavoro (a tempo pieno e continuo) di alcuni lavoratori» si accompagnerà «al licenziamento di altri». Fenomeni complessi e difficili da governare, come succede spesso dopo periodi in cui l'economia è stata sussidiata.
Una conferma di quanto ammortizzatori, sussidi e blocco dei licenziamenti abbia mutato lo scenario è arrivato ieri dalla Cna. Rispetto al 2019, nel dicembre 2020, le imprese artigiane che mancano sono poco meno di 5mila (per la precisione 4.783), 12mila i dipendenti rimasti senza lavoro.
Un calo ridotto (lo 0,23% anche se dopo anni di crescita ininterrotta superiore al 2,5% all'anno) influenzato «dalle misure a sostegno del reddito e a difesa dell'occupazione, quali cassa integrazione e divieto di licenziamento».
Le assunzioni sono crollate, (-18%), le cessazioni fortemente ridotte (-13,1%). Un mercato «congelato» che potrà tornare alla normalità solo se ci sarà una forte crescita.
Sul rinvio del blocco, sindacati e industriali sono divisi, con Cgil, Cisl e Uil a favore di una proroga dello stop che non faccia distinzioni e Confindustria che preme al contrario per una differenziazione tra settori
in forte crisi o chiusi per decisione del governo e quelli le cui aziende proseguono nella normale attività. Solo per questo, per il momento, il governo non esce allo scoperto sul tema. Ma lo farà nel giro di pochi giorni.
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