E adesso? Le ultime speranze di archiviare il «caso Palamara» come un incidente di percorso, una macchia finita per caso sulla toga immacolata della magistratura italiana, svaniscono alle 11,30 di ieri, quando sul sito Internet del Tar del Lazio vengono depositate due sentenze. Sono sentenze in larga parte simili, e identiche nelle conclusioni: dicono che la scelta più delicata compiuta in questi mesi dal Consiglio superiore della magistratura, la nomina nel marzo scorso di Michele Prestipino alla guida della Procura di Roma, è da rifare. Almeno due candidati avevano più titoli di Prestipino per vedersi assegnare il posto. Il problema è che proprio sulla scelta del nuovo procuratore di Roma si scatenò all'interno del Csm la faida tra correnti intercettata dalla Guardia di finanza, e che ha portato alla defenestrazione di Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Proprio della Procura di Roma si parlò nella celebre riunione notturna all'Hotel Champagne, dove i capicorrente si trovarono insieme al parlamentare del Pd Luca Lotti. E sulla nomina del procuratore di Roma il Csm del «dopo Palamara», una volta epurati sbrigativamente i suoi componenti più coinvolti, scelse Prestipino presentando la nomina come la prova del rinnovamento della categoria.
Invece no, dice il Tar. Neanche stavolta il Csm si fece guidare dall'unico criterio valido, ovvero la valutazione dei meriti e delle esperienze. Tre candidati sconfitti da Prestipino avevano fatto ricorso. Uno, Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, se lo vede respingere: destino inevitabile, dopo che Creazzo è finito sotto inchiesta, accusato di molestie sessuali a una pm. Gli altri due ricorsi vengono accolti. Uno è firmato dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi; l'altro è quello di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. Cioè proprio del magistrato su cui la riunione all'Hotel Champagne, il 9 maggio 2019, aveva visto convergere la maggioranza dei consensi. Due settimane dopo la commissione Incarichi direttivi del Csm indica a maggioranza Viola come procuratore di Roma: per lui vota anche la corrente di Piercamillo Davigo, il «moralizzatore» proveniente dal pool Mani Pulite. In quei giorni, racconta Palamara nel libro scritto insieme a Alessandro Sallusti, Lotti fa sapere che anche il presidente della Repubblica sponsorizza Viola.
Ma a giugno esplode il caso Palamara. Partono le epurazioni e partono i dietrofront. La commissione incarichi direttivi del Csm torna a riunirsi, e chi - come i davighiani - aveva sostenuto Viola, si sposta su Prestipino: che è il vice del procuratore uscente, Giuseppe Pignatone, e rappresenta la continuità. Ha un difetto: non ha mai diretto una Procura, a differenza di Lo Voi e Viola. Ma il Csm fa finta di niente. A marzo il plenum insedia Prestipino. Decisiva, nella sua nomina, l'indagine guidata come procuratore aggiunto su Mafia Capitale: e poco conta che poi la Cassazione abbia stabilito che di mafia non c'era traccia.
Per eliminare Viola dalla corsa, il Csm usa la scusa del «radicamento territoriale» di Prestipino, ma è chiaro a tutti sin dall'inizio che Viola deve saltare perché ha il peccato (come metà dei capi delle procure italiane) di essere stato appoggiato da Palamara. Ma Viola, scrive ieri il Tar, nella vicenda Palamara non è accusato di nulla, anzi semmai è una vittima di «macchinazioni o aspirazioni di altri».
Adesso il Csm dovrà rifare la nomina.
E intanto Palamara si dice «sicuro che il dottor Davigo vorrà chiarire le ragioni per cui dopo avere votato Viola decise di cambiare il suo voto a favore di Prestipino. Mi chiedo ancora oggi se fu una sua autonoma scelta».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.