Prova a metterci una pezza. Ma il decreto contro le scarcerazioni facili dei boss accende una mischia d'altri tempi. La magistratura insorge contro il Guardasigilli Alfonso Bonafede che vorrebbe goffamente commissariare i giudici di sorveglianza. Il ministro, sempre più irritato, replica a Montecitorio con toni duri: «Non c'è alcun governo che possa imporre o anche soltanto influenzare le decisioni dei giudici. In questo caso dei giudici di sorveglianza. Punto». Ma le parole non disinnescano la lite, mentre in Consiglio dei ministri arriva il decreto che dovrebbe bloccare le troppe uscite delle ultime settimane: d'ora in poi per i reati gravi si dovrà chiedere un parere preventivo al procuratore distrettuale antimafia e per i detenuti al 41 bis ci vorrà pure la pronuncia, vincolante, del procuratore nazionale antimafia.
Risultato: tutti scontenti, anzi infuriati: i magistrati di sorveglianza si sentono nel mirino e invece in molti casi hanno agito nell'unico modo possibile, in mancanza di alternative: davanti all'emergenza Covid, e in assenza di risposte tempestive dal Dap, le toghe hanno messo fuori alcuni personaggi eccellenti: Pasquale Bin Laden Zagaria, fratello del capo dei Casalesi Michele, che ha ottenuto la possibilità di trascorrere cinque mesi ai domiciliari per combattere il cancro; o Domenico Perre, colonnello dell'Anonima sequestri, uno degli autori del rapimento di Alessandra Sgarella, pure spedito ai domiciliari per paura del Coronavirus. La lista è lunga e comprende Francesco Bonura, Vincenzino Iannazzo, Pietro Pollichino. Persino Raffaele Cutolo, nome simbolo di una stagione criminale, gioca la carta e resta in bilico. Fosse successo ai tempi di Berlusconi sarebbe scoppiato il finimondo, ma oggi si naviga a vista fra le troppe emergenze - le rivolte, le evasioni, il virus - cui il Dap, sempre più debole, non ha saputo dare risposte.
I magistrati di sorveglianza si sono arrangiati come hanno potuto, su quel sentiero stretto fra la tutela della salute e le esigenze della sicurezza. Risultato: Bonafede corre ai ripari col decreto nel tentativo di fermare il miniesodo ma così si attira addosso gli strali dell'opposizione, di pezzi della stessa maggioranza, del Csm che si schiera con le toghe. «La mossa di Bonafede - attacca l'ex sottosegretario alla giustizia Gennaro Migliore, oggi renziano - di sottoporre le decisioni dei tribunali di sorveglianza ad altri organi giurisdizionali rischia di comprometterne l'autonomia e l'indipendenza». L'azzurro Enrico Costa accusa a sua volta il ministro di «voler far decidere ai pm le scarcerazioni». Come se non bastasse, tre consiglieri del Csm appartenenti a Magistratura indipendente, chiedono l'apertura di una pratica a tutela dei colleghi. Paola Braggion, Loredana Miccichè, Antonio D'Amato sottolineano «le dichiarazioni lesive, tali da turbare la credibilità dell'azione giudiziaria».
Bonafede va avanti per la sua strada e prova a rafforzare il Dap: l'ex pm di Palermo Roberto Tartaglia arriva al vertice del Dipartimento delle carceri bruciando le tappe e va a affiancare come vicecapo il traballante Francesco Basentini, parafulmine di tutti i disastri delle ultime settimane.
Intanto, col decreto appena varato, Bonafede rinvia a settembre la riforma delle intercettazioni e mette un freno ai processi da remoto, visti come la peste
dai penalisti. Non si potranno celebrare dibattimenti in smart-working, a meno che le parti non siano d'accordo, quando é previsto «l'esame di testimoni, parti e periti». Insomma, la giustizia digitale resterà un'eccezione.
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