il 21 aprile 1996. Un altro secolo, ma l'agenda internazionale sembra scritta in queste drammatiche ore. Bill Clinton incontra al Cremlino Boris Eltsin e la discussione vira sull'eterna polveriera del Medio Oriente. Clinton ha le idee molto chiare e dice senza tanti giri di parole al presidente russo: «Boris, avete una grande influenza sulla Siria e su Hezbollah, quindi usala bene. Hezbollah non vuole che il processo di pace abbia successo, vogliono che Shimon Peres perda le elezioni».
Sembra di leggere allo specchio l'attualità: basta sostituire Gaza al Libano e Hamas ad Hezbollah per arrivare direttamente a questo terribile 2023 di guerra.
Anche in quei giorni è in corso un'offensiva di Israele, l'operazione Grappoli d'ira, questa volta indirizzata appunto nel Sud del Libano, dove Hezbollah, la milizia sciita finanziata da Damasco e Teheran, minaccia Israele e costituisce di fatto uno stato nello stato. Il contesto è purtroppo sempre lo stesso, ma lo scenario di Israele è assai diverso da quello odierno: il capo del governo Shimon Peres, premio Nobel per la pace, appartiene alla sinistra laburista e il processo di pace con i palestinesi non è ancora finito su un binario morto.
Ma gli estremisti islamisti, pedine nelle mani dell'Iran e della Siria di Assad padre, soffiano sul fuoco e otterranno il loro obiettivo, perché il 29 maggio 1996, circa un mese dopo, in un clima di grande tensione, Peres perderà le lezioni e inizierà di fatto l'era Netanyahu.
«Ma Hezbollah e la Siria vogliono anche anche mantenere i rapporti con la Russia - prosegue Clinton -: utilizzate questa leva per convincerli ad accettare un cessate il fuoco. Noi non abbiamo alcuna intenzione di isolare la Russia, in Medio Oriente o altrove. Hai un legame con la Siria da molto tempo, puoi giocare un ruolo importante su questo terreno».
Sono frasi tratte da documenti della Casa Bianca, tutti catalogati come top secret e oggi declassificati, che il Giornale ha potuto leggere. Carte in via di pubblicazione nel libro di Maria Vittoria Lazzarini Merloni, ricercatrice, e Andrea Spiri, docente alla Luiss, L'America di Clinton (Carocci editore).
Clinton sa bene che i paramilitari libanesi, come oggi quelli di Hamas, faranno di tutto per destabilizzare il quadro internazionale e sabotare le aspirazioni dei protagonisti più illuminati che vogliono voltare pagina e togliere da quella terra martoriata bombe e fucili. Clinton sa anche bene che la Siria degli Assad - allora Hafiz e oggi Bashar - è solo la longa manus della teocrazia iraniana e cerca di fermare quella spirale di violenza e sopraffazione.
Eltsin nicchia, alza la posta, studia il suo interlocutore: «Davvero non capisco l'approccio americano in Libano. Sembrate intenzionati a fare da soli. Questo mi ha detto Primakov (ministro degli Esteri russo, ndr): che voi americani state conducendo un'operazione separata».
«Ciò che dici - replica Clinton - non è corretto. Nessuno sta mettendo da parte nessuno. Dobbiamo lavorare insieme. Primakov può svolgere un ruolo utile, in particolare con i siriani. Le speranze per l'area mediorientale hanno molto a che vedere con Israele: voglio anzitutto che Israele si riconcili con gli Stati arabi vicini e che intrattenga con loro relazioni pacifiche: per raggiungere questo obiettivo bisogna rimuovere dalla Cisgiordania, da Gaza e dal Libano ogni terreno fertile per il terrorismo». È il punto infiammato di sempre: mentre l'Occidente subisce il rigurgito dell'antisemitismo, e gli israeliani «non vogliono essere rappresentati né dalla Francia né dall'Unione europea», sempre divisa e incerta, le fazioni dei tagliagole fomentano nuovo orrore, a Gaza come in Libano.
Il 2023 sembra ripetere in qualche modo quel lontano 1996. «Occorre - aggiunge il leader democratico - spingere la Siria a rapportarsi in modo più responsabile con il resto del mondo, ed evitare che le pressioni in Turchia possano portare quel Paese su posizioni estremiste».
In quel fatidico 1996 Recep Erdogan è solo il sindaco di Istanbul e l'involuzione della Turchia non è ancora cominciata. E la Siria non è ancora precipitata nella spirale della guerra civile che dilanierà il Paese dal 2011, ma i fattori di destabilizzazione ci sono già tutti e le potenze regionali alimentano i focolai di tensione, sfruttando e strumentalizzando la causa palestinese.
«Vanno poi ridotti tutti gli incentivi - è la conclusione di Clinton - che potrebbero fare dell'Iran uno Stato canaglia, un'eventualità che richiederebbe l'isolamento da parte della comunità internazionale. Il fine dev'essere un Medio Oriente che non rappresenti un mal di testa costante, ma sia invece un'area di pace».
A questo punto, Eltsin è soddisfatto: «Non stai rivendicando un monopolio in ogni area. Stai dicendo che entrambi abbiamo delle zone di influenza dove impegnarci, mantenendoci in stretto contatto. Adesso posso condividere le mie preoccupazioni con te».
In realtà l'epoca di Eltsin volge al tramonto. Il 12 settembre 1999 Clinton incontra per la prima volta Vladimir Putin, nominato proprio da Eltsin primo ministro un mese prima. Il colloquio, avvenuto allo Stamford Plaza Hotel di Auckland, in Nuova Zelanda, si concentra sulla questione iraniana e sullo sviluppo della tecnologia nucleare da parte del regime, che «sta palesemente violando» le regole stabilite dalla diplomazia internazionale.
Putin risponde con un discorso ambiguo, punta il dito contro l'Europa, in definitiva si mostra aggressivo: «In tutta sincerità non condividiamo il vostro approccio alla situazione. Devo richiamare la tua attenzione sul fatto che l'Iran ci è molto vicino geograficamente e non è certo nel nostro interesse rafforzarne le potenzialità. Sì, è vero che gli iraniani stanno costruendo nuovi missili, ma lo stanno facendo con la tecnologia proveniente dall'Europa occidentale».
Putin non molla di un centimetro e dopo lo storico incontro a Pratica di Mare nel 2002 con Bush e Berlusconi, si allontanerà sempre di più dall'Occidente.
«Posso quindi dirti - è il congedo in quell'hotel di Auckland - che comprendiamo bene i tuoi timori, ma al contempo desidero segnalarti che siamo davvero preoccupati per l'addestramento e la formazione che gli iraniani stanno ricevendo in altri Paesi».No, Mosca non fermerà Teheran e l'Iran continuerà sotterraneamente a rafforzare la rete del terrore. Fino al massacro firmato Hamas il 7 ottobre scorso.
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