Sale la tensione sul destino di Monte Paschi dopo la retromarcia di Unicredit ufficializzata domenica sera. La situazione è «drammaticamente ingarbugliata» commenta una fonte bancaria secondo cui lo stallo, se irrisolto, rischia di costare allo Stato (azionista al 64% di Mps) oltre 10 miliardi, tra le necessità di capitale della banca, la gestione dei crediti deteriorati, il nodo delle cause pendenti e l'operatività su cui si avranno maggiori dettagli con la trimestrale del 4 novembre.
Le alternative sul tavolo sono tre: uno spezzatino che coinvolga in una soluzione di sistema i principali operatori finanziari presenti sul territorio, il riavvio della trattativa con Piazza Gae Aulenti con condizioni formali diverse o un eventuale cavaliere bianco, che al momento però non si vede e che comunque partirebbe dall'asticella posta da Unicredit (oltre 7 miliardi di dote) e rispedita al mittente da via XX Settembre. La soluzione della partita è difficile.
Il Tesoro è già in pressing su Bruxelles per contrattare tempi più lunghi per l'uscita da Mps, prevista finora entro fine anno, e le modalità di un nuovo inevitabile salvataggio, considerando che in assenza dell'auspicata «soluzione strutturale» occorrerà dotare Siena di almeno 2,5 miliardi di euro (rispetto all'attuale valore di Borsa di un miliardo). Questa infatti è la somma prevista dal piano stand alone di Mps su cui la Bce non si è ancora pronunciata, anche se non manca chi stima in almeno il doppio le necessità di capitale di Rocca Salimbeni che ha chiuso il 2020 con un rosso di 1,69 miliardo. «È responsabilità dello Stato membro rispettare gli impegni presi e proporre modi di rispettarli. Sta quindi all'Italia decidere e proporre modi su come uscire dalla proprietà di Mps tenendo conto degli impegni presi nel 2017», ha detto ieri un portavoce della Commissione Ue, confermando i contatti in corso con Roma. «Il ministero è seriamente e attivamente impegnato a trovare una soluzione a questo tema che è di grande importanza per il territorio e per il sistema bancario in generale», ha commentato ieri Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Mef. Dovrebbe già essere convocato per oggi l'ufficio di presidenza della Commissione di inchiesta sul sistema bancario e finanziario.
Ieri a fare le spese di questo percorso al buio, sono stati innanzitutto i bond subordinati di Mps, travolti con cali fino al 19% sui timori di «burden sharing» (condivisione degli oneri prevista dalla normativa Ue come precondizione al sostegno pubblico nei risanamenti bancari) che potrebbe passare dalla conversione delle obbligazioni subordinate in capitale o dalla riduzione del valore nominale. Le quattro emissioni subordinate (per 1,45 miliardi complessivi) trattano a forte sconto sul loro nominale (fino al 60%), mentre i credit default swap (contratti che proteggono dal rischio insolvenza) sono schizzati in alto. In Piazza Affari infine, il titolo Mps, dopo essere scesa sotto l'euro nel corso della seduta, ha chiuso a 1,05 euro in calo del 2,38%, mentre Unicredit ha terminato la giornata a 11,33 euro in discesa dell'1,7%.
Da Piazza Gae Aulenti, intanto, l'amministratore delegato Andrea Orcel, in una lettera ai dipendenti e in attesa della presentazione dei conti trimestrali il 28 ottobre, ha ribadito
«il nostro obiettivo primario non è quello di fare fusioni e acquisizioni ma costruire delle fondamenta solide per il nostro futuro». Per poi invitare i dipendenti a non «scoraggiarsi» di fronte agli «avvenimenti recenti».
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