Davanti c'è una montagna. Ancora tutta da scalare. Un Everest da 6,4 trilioni di dollari, ovvero la capitalizzazione persa dai mercati globali in appena tre settimane. Allungare lo sguardo serve a capire la portata di un fenomeno che va ben al di là dell'ancor fresco e sanguinoso Black Monday. Ieri è tornata la calma, ma è mancato il colpo di reni capace di colmare, anche solo parzialmente, le falle aperte il giorno prima. Non è un buon segnale.
Anche il rimbalzo della Borsa giapponese (un +10% dopo il -12% di lunedì) viene preso con le pinze dagli analisti, dal momento che l'inversione della rotta monetaria da parte della Bank of Japan lascia sul terreno problemi di non facile soluzione. Il primo dei quali è la rottamazione della pluridecennale strategia di carry trade grazie alla quale i trader avevano sfruttato i bassi tassi d'interesse nipponici per indebitarsi in yen, per poi investire in asset più remunerativi. Secondo JP Morgan e Ubs, siamo appena al 50-60% della liquidazione indotta dalla fine del carry trade. Tradotto: non sono da escludere altri tracolli, e a innescarli potrebbero essere le margin call, ovvero le richieste di coperture finanziarie per evitare lo smobilizzo forzato dei titoli. Questo potrebbe essere uno dei motivi che ha impedito ieri un robusto recupero dei listini, con l'Europa debole (-0,6% Milano, -1,6% Parigi, mentre Londra è salita dello 0,3% e Francoforte dello 0,1%) e Wall Street che, pur muovendosi in rialzo (+1,2% il Dow Jones, +2,1% il Nasdaq a un'ora dalla chiusura), non è riuscita a ricucire le ferite lasciate dal lunedì nero. Sono tutti indizi che indicano come stia venendo sempre meno la tentazione di comprare sfruttando i picchi negativi (il cosiddetto buy the dip). È la classica situazione da coltello che cade, in cui i trader prevedono che i prezzi continueranno a scendere. «Prima di entrare sul mercato - consigliava ieri un broker - bisogna lasciare che la polvere si depositi».
E di polvere in aria ce n'è ancora tanta. Con il voto presidenziale quasi alle porte, non è infatti chiaro se e come si muoverà la Federal Reserve. Black Rock ha chiesto alla banca centrale Usa di uscire allo scoperto per confermare che l'indebolimento dell'occupazione rende sempre più probabile un ciclo di ribassi dei tassi, ma i mercati sembrano meno disposti a credere che Jerome Powell (in foto) interverrà entro fine mese con una misura d'emergenza tesa a evitare un possibile scivolamento in recessione. Del resto, non tutti gli esperti sono d'accordo sulla possibilità di una contrazione del Pil americano, un'ipotesi suffragata dai recenti indicatori sui nuovi posti di lavoro e dall'indice Ism. Goldman Sachs punta per esempio l'indice sul brusco passaggio da una narrazione incentrata sull'atterraggio morbido dell'economia a una, quella attuale, in cui si teme l'hard landing. Un rischio che comunque esiste.
E per una ragione: «L'economia e i consumi statunitensi sono strettamente legati all'S&P e ai mercati azionari», dal momento che le famiglie americane hanno i portafogli gonfi di azioni. Insomma: se Mr. Smith va nel panico, viene giù tutto.
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