Londra Oggi è il giorno in cui il Regno Unito avrebbe dovuto salutare la Ue dopo 46 anni di convivenza. Ma dopo le spericolate montagne russe della politica inglese negli ultimi mesi oggi è invece il giorno in cui Theresa May cercherà per la terza volta di far approvare il suo piano dal Parlamento.
Ad annunciarlo è stata nella tarda mattina di ieri Andrea Leadsom, la leader dei conservatori ai Comuni. Si è dovuto però aspettare tutto il giorno per vedere il testo della mozione presentata dal governo, un'attesa dovuta alla necessità di rispettare le pluricentenarie regole di Westminster che impediscono al governo di sottoporre al Parlamento, nella stessa sessione, un testo già votato. Una norma con cui lo Speaker dei Comuni John Bercow aveva impedito al governo lo scorso 18 marzo di chiedere un nuovo voto sul piano May. E non ha mancato di ribadirlo nel pomeriggio di ieri, Bercow, quando il testo tardava ad arrivare: ci devono essere modifiche sostanziali.
Per capire come il governo inglese ha superato questo scoglio, senza nessuna nuova concessione giunta dall'Ue, occorre ricordare che la bozza di accordo già bocciata due volte da Westminster è ora formata da un accordo quadro di uscita e da rassicurazioni politiche, non legalmente vincolanti, sulla buona fede di Londra e Bruxelles nell'applicare l'accordo. Sono proprio queste seconde, che il governo ha deciso di non sottoporre al voto di oggi, chiedendo quindi al Parlamento di esprimersi solo sull'accordo quadro di uscita. I numeri non sono chiari ed è tutt'altro che certo che Theresa May riesca oggi a farcela. Nel partito conservatore, dopo che mercoledì il primo ministro ha offerto le sue dimissioni in cambio del supporto al suo piano, le dinamiche sono mutate. Molti brexiteers sono tornati nei ranghi, tra cui l'ex ministro degli Esteri Boris Johnson. La prospettiva di vedere concluso questo lungo capitolo delle trattative con Bruxelles, potendo in futuro addossare le colpe politiche a May, ha solleticato l'ego dei pretendenti a Downing Street. All'appello mancano tuttavia una ventina di irriducibili conservatori. Uno dei leader della fronda, Jacob Rees-Mogg, mercoledì sera in tv ha ribadito che pur essendo ora disposto a sostenere il piano May (essendo l'intero progetto Brexit a rischio), aspetta tuttavia di vedere come si muoverà il Dup. Il partito nordirlandese, che fa parte della maggioranza di governo, ha tuttavia continuato a ribadire fino a ieri sera la sua ferma contrarietà alla bozza di accordo per i rischi che la clausola di backstop pone all'integrità costituzionale del Regno. Per trovare i voti che mancano è necessario quindi che il governo abbia oggi l'appoggio di una parte dei deputati labouristi. Corbyn ha negato di far da stampella ma da molto tempo nella saga Brexit la disciplina di partito è venuta meno sia a destra che a sinistra. È probabile che alcuni laburisti a favore dell'uscita dall'Ue votino col governo; che siano un numero sufficiente per far approvare il piano rimane da vedere.
La fretta di Theresa May è dettata dal fatto che l'Ue ha concesso a Londra fino a oggi per approvare la bozza di accordo e garantirsi così una Brexit spostata al 22 maggio. Se di contro oggi ci dovesse essere una terza bocciatura, allora la data di uscita indicata da Bruxelles è il 12 aprile. E l'attenzione tornerebbe ai tentativi del Parlamento inglese di trovare una soluzione: la prossima tornata di discussioni e di voti sulle diverse opzioni di Brexit è prevista per lunedì.
La prima, che si è consumata mercoledì, ha portato a un nulla di fatto. Il Guardian ha aperto ieri con 8 no in prima pagina, 8 come i no che i parlamentari hanno espresso verso tutte le opzioni che mercoledì c'erano sul tavolo. Mancano 14 giorni.
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