Ora non si scherza più. Il taglio del gas russo sta per trasferire su famiglie e aziende italiane il costo della guerra in Ucraina condannandoci ad anni di recessione. Per questo è tempo di fare i conti con la realtà e non con illusorie analisi strategiche basate sulla propaganda bellica anziché sui fatti. Per questo è giusto chiedersi se una trattativa con Vladimir Putin non sia moralmente più accettabile del proseguimento di una guerra perduta. Una guerra che protraendosi inutilmente causerà ulteriori sciali di vite umane, accentuerà il rischio di un conflitto mondiale e condannerà al disastro economico l' Italia e l'Europa. I tre dati da cui partire son quello militare, quello economico e quello politico.
Sul fronte bellico il dato è chiaro, i vincitori sono i russi e non gli ucraini. I 150 caduti e gli 800 feriti al giorno subiti in questi mesi hanno privato Kiev dei suoi combattenti migliori trasferendo prime linee e logistica nelle mani di reclute addestrate in fretta. Questo, oltre a vanificare l'efficacia dei sistemi d'arma promessi dalla Nato, rende illusoria l'ipotesi di un'offensiva per la riconquista del 20 per cento di territori già in mani russe. Non a caso il vice-segretario alla difesa Usa Kathlee Hiks dubita della capacità di Kiev di resistere «per cinque o dieci mesi».
La realtà economica è ancor più dolente. Mentre Mosca sopporta le sanzioni senza conseguenze invalidanti Italia ed Ue ne subiscono l'effetto boomerang. Mentre Jp Morgan già vede il prezzo del greggio a 380 dollari al barile il governatore di Bankitalia Ignazio Visco prevede due anni di recessione in caso di taglio totale del gas russo. Due anni che getterebbero sul lastrico le nostre aziende facilitando la penetrazione di una Cina pronta a imporsi come la vera vincitrice dello scontro Russia-Nato. Per non parlare del rischio migranti. La crisi del grano muove masse di affamati dall'Africa sub-sahariana alla Libia e annuncia imponenti esodi verso un Belpaese che già ospita 145mila profughi ucraini.
Sul fronte politico l'insostenibilità del conflitto è ancor più evidente. Lo spettro di una sconfitta al voto di «mid-term» di novembre sull'onda di costi energetici e inflazione incrina la determinazione di Joe Biden. Il tutto mentre Londra, Parigi, Roma e Berlino affrontano crisi capaci di rendere irrilevante la sfida ucraina. E la Germania accenna a rompere il blocco delle sanzioni pur di garantirsi il gas russo. Proprio per questo va ascoltato un vecchio saggio come Henry Kissinger convinto della necessità di trattare con il Cremlino entro fine luglio ovvero «prima che si creino sollevazioni e tensioni difficilmente superabili».
Se non trattiamo ora, sembra dire, sarà difficile farlo quando, conquistato il Donbass, Putin guarderà ad Odessa mettendoci di fronte ad un bivio ancora più devastante. Da una parte l'ipotesi di fermarlo con un intervento diretto. Dall'altra quella di portarci in Europa un'Ucraina sconfitta, dissanguata economicamente e condannata vivere dei nostri aiuti.
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