Il ridimensionamento della Messa in latino è un caso e la bufera era prevedibile. La contesa non è solo liturgica: la Chiesa cattolica vive un momento in cui alcune distanze siderali, peralto preesistenti, si manifestano continuamente e in maniera sempre più dura. Due visioni contrapposte, con tutte le loro sfumature, che possono essere notate anche solo a livello comunicativo.
In realtà, i progressisti non stanno esultando più di tanto. Dopo la mossa del Papa, prevale il silenzio nella "sinistra ecclesiastica". Nessuno spumante stappato, insomma, ma un'esultanza strozzata che può avere comunque un suo particolare significato. Perché il sommerso attorno al rito antico, al netto degli atteggiamenti pubblici, è già tutto sulla scena e si è depositato in anni di polemiche ecclesiologiche.
Traditionis Custodes - questo il nome del "Motu proprio" di Francesco - è per i tradizionalisti la più classica delle gocce capaci di far traboccare un vaso considerato ricolmo da tempo. Interpretare la reazione della "destra ecclesiastica" è più semplice. Per i conservatori è in atto ciò che le avvisaglie avevano raccontato con anticipo: più o meno da quando papa Francesco è stato eletto sul soglio di Pietro. Il tam-tam sulla imminente crisi del Messale romano ha origini pluriennali: questo - dicevano certi ambienti tradizionalisti - sarà il pontificato che depennerà la cosiddetta "Messa tridentina". O comunque la sconvolgerà - insistevano - per come la conosciamo. Da destra, sempre per semplificazione, erano anche certi che questi sarebbero stati gli anni della "Messa ecumenica", dell'ordinazione dei laici, delle diaconesse e così via.
Forse la verità risiede nel mezzo. Il Papa non ha dato seguito alla rivoluzione in cui la sinistra ecclesiastica continua a sperare. Su questa storia del vetus ordo, tra chi legge la scelta del Pontefice come una legittima e necessaria limitazione e chi invece ne fa un dramma, ce ne passa. Ma la polarizzazione interessa tutta la Chiesa cattolica ed è risalente nel tempo.
Le reazioni
Il Summorum Pontificum di Benedetto XVI - Motu proprio diventato forse anche più rappresentativo delle sue iniziali intenzioni - era definito "sotto attacco" prima ancora che Jorge Mario Bergoglio ragionasse sulla normativa. Tanto che durante questo pontificato sono nate iniziative, blog ed eventi a vario titolo che sembravano mettere le mani avanti su un'imminente smobilitazione normativa.
La fase odierna è quella in cui la "destra ecclesiastica" rivendica la ragione. Nel contempo, se i progressisti sorridono, lo fanno tacendo. Chissà perché. Poi si rincorrono le voce come quella rilanciata dal blog Campari e De Maistre secondo cui il Motu proprio di Bergoglio sarebbe opera di ambienti precisi: viene chiamata in causa l'ipotesi dell'Ateneo di Sant'Anselmo. I retroscena troveranno ulteriore spazio.
La querelle sul rito antico non è certo finita. Il mantra tradizionalista è che il Motu proprio dell'Emerito deve essere difeso. E anche se l'ondata dei contrari alla mossa del Papa non è ancora stata organizzata, non possono essere escluse iniziative plateali. C'è chi pensa anche a una maggiore partecipazione, con qualche forma di protesta, al pellegrinaggio annuale del Summorum Pontificum che ha caratura internazionale. Nel comunicato del coordinamento nazionale si legge la parola "resistenza".
Ce ne sono tanti altri, ma quel termine può raccontare un obiettivo, che poi è quello di non riporre nel dimenticatoio il rito antico. Di fare in modo, insomma, che la mossa del Papa non significhi "cancellazione", come tanti critici scrivono in queste ore.
I perché della mossa di Francesco
Molti si interrogano su cosa abbia spinto Sua Santità a muoversi in questo modo. C'è chi pensa che Francesco abbia fatto bene. E che dunque sarebbe giusta la riforma della possibilità di celebrare secondo il Messale romano, estendendo le facoltà decisionali dei vescovi ed introducendo l'obbligo di costituire parrocchie ad hoc.
È il caso del religioso Rosario Vitale, che sostiene che Bergoglio abbia agito con giudizio per almeno due ragioni:"La prima perché ritengo sia giusto che la Chiesa abbia un rito unitario, che faccia risaltare, per citare le parole del Santo Padre, 'la comunione anche nell'unità di un solo Rito'". Dopodiché - annota Vitale - è la ratio stessa del Summorum Pontificum del papa emerito che sarebbe ormai passata in secondo piano: "Non sussiste più la ragione per cui Giovanni Paolo II con il documento Ecclesia Dei e Benedetto XVI con il Summorum Pontificum avevano permesso il ritorno al vetus ordo, che come sappiamo era quello di arginare lo scisma messo in atto da monsignor Lefebvre all'indomani del Concilio. Per cui - conclude il religioso - la decisione del Santo Padre mi trova pienamente d'accordo".
Insomma, la questione dei lefebvriani - cui Francesco era sembrato persino vicino durante alcune fasi di questo pontificato - non sarebbe più di attualità secondo alcuni sostenitori della mossa del Papa. Dunque ben venga il nuovo Motu Proprio, tenendo conto dell'ubbidienza che chi è consacrato deve sempre perseguire nei confronti del Santo Padre.
Le "distorsioni" su cui è intervenuto papa Francesco
Francesco, nel normare il vetus ordo, ha anche citato alcune "distorsioni" liturgiche. Chi e come ha distorto le indicazioni sulla Messa antica dettate dal pontefice polacco e da quello tedesco? Perché Bergoglio nel presentare Traditionis Custodes cita quelle "distorsioni"? Vitale sul punto è lapidario: "Non possiamo parlare di errori liturgici perché l’uso del messale edito nel 1962 è stato permesso dai documenti che prima ho citato - premette - , tuttavia c’è da dire che la facoltà che nacque con lo scopo di ricucire uno scisma venne ben presto interpretata da molti come possibilità per tornare a rispolverare il vetus ordo. Vi fu certamente un errore di valutazione, e anche sotto questo punto di vista un abuso".
San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avrebbero dunque assecondato l'utilizzo del Messale romano con il fine esclusivo di evitare eccessive fughe verso la Fraternità San Pio X. Non solo: il terzultimo ed il penultimo pontefice avrebbero, con l'Ecclesia Dei e con il Summorum Pontificum, tentato di costruire un "ponte" con i lefebvriani. Quasi come se la Messa antica costituisse un segno imperituro di dialogo verso chi aveva deciso di percorrere strade alternative dopo il Concilio Vaticano II.
L'ex pontefice non è intervenuto sul punto. E sarebbe stato clamoroso il contrario. Hanno tuttavia detto la loro due cardinali considerati "conservatori", ossia il cardinal Raymond Leo Burke e l'ex prefetto della Dottrina della Fede, Gherard Ludwig Mueller. Il porporato americano, come si legge sul blog di Aldo Maria Valli, ha parlato di "durezza" in relazione al Motu proprio di Francesco. Il "principe della Chiesa" teutonico, come si apprende da Katolisch.de, sarebbe parso invece critico nei confronti della riforma del Papa gesuita. È la dimostrazione di come la preoccupazione di quei fedeli che si sbracciano dopo l'annuncio della rivoluzione sia condivisa anche da alcuni alti-ecclesiastici.
Quelle "ferite riaperte" dal Motu proprio di Francesco
Padre Federico Pozza dell'Istituto Cristo Re di Firenze premette di aver letto il Motu proprio soltanto due volte. Questo però consente comunque al monsignore di notare come Traditiones custodes intervenga "per disciplinare la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale del 1962 da parte dei sacerdoti diocesani che hanno scoperto l'uso più antico del Rito Romano dopo il Motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI". La riforma sanerebbe dunque una sorta di gap normativo. "L'intervento del 2007 - spiega però don Pozza - poneva fine ad un'inutile guerra liturgica in seno alla Chiesa, e questo nuovo provvedimento potrebbe riaprire ferite che si stavano risolvendo". Le ferite che, secondo alcuni, Joseph Ratzinger aveva risanato proprio attraverso il suo di Motu sulla cosiddetta tridentina.
Ma oggi Benedetto XVI non è più il vertice della Chiesa cattolica. E Traditionis Custodes ha suscitato i commenti più disparati. Tra questi, appunto quello del cardinal Burke, che ha parlato di "durezza". Cosa ne pensa monsignor Federico Pozza? "Dal tenore del Motu proprio e dalla lettera che lo accompagna - afferma l'ecclesiastico- , effettivamente il nuovo testo normativo parte da una visione molto pessimistica dei cattolici legati a questa legittima e mai abrogata espressione liturgica".
Il dato secondo cui la riforma di Bergoglio intervenga con estrema decisione è dunque condiviso. Poi la speranza, almeno tra coloro che vorrebbero continuare a celebrare secondo il vetus ordo: "L'esperienza, in generale, di questi ultimi 14 anni è stata ricca di bei frutti spirituali e pastorali.
Certamente - chiosa Pozza - è auspicabile che le Congregazioni romane tengano conto di questi frutti e che non mortifichino i fedeli che con spirito di reale comunione ecclesiale hanno scoperto i tesori spirituali dei libri liturgici anteriori alla riforma del 1970". La sensazione è che in tanti, pur tenendo conto delle indicazioni del Santo Padre, continueranno a celebrare il rito antico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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