Vladimir Putin ci ha provato ancora. Raccontando anche al vertice dei cosiddetti Brics (Cina, India, Russia, Brasile e Sudafrica) in corso a Johannesburg la formuletta della propaganda russa secondo cui l'invasione dell'Ucraina sarebbe stata solo la necessaria risposta all'Occidente guerrafondaio per garantire i diritti dei russofoni del Donbass, e non un tentativo di colpo di mano militare per cancellare l'Ucraina dalla carta geografica annettendola alla Russia, come ieri ha di fatto rivendicato il suo «poliziotto cattivo», l'ex presidente Dmitry Medvedev.
L'immagine del leader del Cremlino costretto a intervenire in video da Mosca perché inseguito da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra è la fotografia delle contraddizioni di questo summit, molto ambizioso a parole e pochissimo produttivo di fatti. L'eterogeneo quintetto ospitato quest'anno dai sudafricani afferma di puntare addirittura a una svolta mondiale nelle istituzioni internazionali e in economia, abbattendo l'egemonia occidentale: il problema è che ognuno dei membri la intende a modo suo, senza dimenticare che la guerra in Ucraina è un moltiplicatore di distinguo e divisioni.
Cina e Russia sono l'avanguardia a braccetto di questo tentativo di rivoluzione illiberale e autocratica. La diplomazia di Pechino, più raffinata e organizzata di quella russa, presenta il suo disegno di nuovo ordine mondiale a guida cinese come la fine degli egoismi occidentali, espressi da istituzioni come Onu, Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio, e la loro sostituzione con un finto equilibrio in cui ogni Paese per quanto piccolo ha la sua voce in capitolo «secondo i principi dell'Onu». Musica per le orecchie di regimi del «Sud del mondo», soprattutto africani, che Xi Jinping vorrebbe rapidamente veder ammessi nel perimetro Brics. Ma Xi vorrebbe anche un pronto ingresso di potenze regionali come l'Arabia Saudita, l'Iran o l'Argentina, che conta di tenere sotto la propria ambiziosa ala: idea sgradita ai suoi soci del Sud, gelosi del loro ruolo esclusivo.
Questo eterogeneo fronte alternativo all'Occidente ha un evidente problema con Putin, che ieri blaterava a distanza di un nuovo ordine basato sul rispetto del diritto internazionale nello stesso momento in cui i suoi missili distruggevano depositi di grano ucraino e tre giorni dopo lo sfacciato annuncio di voler colonizzare la città ucraina occupata di Mariupol con 300mila immigrati russi. Per lo più i Brics cercano di far finta di niente, nascondendosi dietro impraticabili piani di pace. Ma per esempio il Brasile, pur cercando di tenere il piede in due scarpe, ieri ha chiarito di volere rispettati i principi Onu dell'integrità territoriale e proprio non si capisce come questo si coniughi con la proclamata annessione russa di quattro province ucraine. Specie mentre il presidente ucraino Zelensky ribadisce ancora l'assoluta intenzione di riconquistare la Crimea.
C'è poi il caso India, legata contemporaneamente agli americani in una specie di alleanza per il contenimento dell'espansionismo cinese: altra contraddizione lampante. A tenere insieme il gruppo ci sono soprattutto obiettivi economici. Superare il regno mondiale del dollaro, come prima cosa, ma l'idea brasiliana di una valuta sovranazionale Brics è solo fuffa propagandistica. Trovar modo di schivare le sanzioni imposte dagli occidentali è un altro punto chiave, ma anche qui le intenzione si scontrano coi fatti: l'interconnessione delle economie mondiali e con l'esaurimento della supercrescita ventennale cinese.
Ai numeri trionfalistici (i Brics assommano due quinti della popolazione del pianeta, un quarto del Pil mondiale e via strombazzando) non corrisponde vera forza per creare un'alternativa. A Washington lo sanno, e hanno detto pacatamente di non considerare i Brics un concorrente ostile: per ora, non fanno paura a nessuno.
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