Malore o manovra azzardata. Sono le due piste seguite dagli inquirenti sul dramma avvenuto a Mestre anche se la più accreditata resta sempre la prima. La Vempa maledetta e disastrata, la «ringhiera» di protezione, le batterie al litio del bus elettrico. Queste, invece, le cause indirette che martedì sera hanno provocato la morte dei 20 turisti di rientro al camping Hu, 21 con l'autista, arsi vivi nello schianto. Ventuno persone, tra le quali un bimbo di un anno e mezzo, morte carbonizzate. E dei 15 feriti cinque restano in condizioni critiche, con ustioni sul 90% del corpo.
La strage dei giovani in vacanza in Italia, sulla quale la Procura di Venezia ha aperto un fascicolo per omicidio stradale plurimo alla ricerca di responsabili. In attesa della superperizia, sequestrata la protezione in ferro abbattuta dal pullman, assieme all'intera area in cui si è schiantato sulla ferrovia incendiandosi dopo il volo. I consulenti che dovranno esaminare il guardrail non sono ancora stati nominati: «Sono pochi gli esperti con le competenze adeguate ma li troveremo il più presto possibile» chiosano a Palazzo di Giustizia. «Per ora - spiega il procuratore capo Bruno Cherchi - non abbiamo ancora acquisto le carte in relazione alla questione del guardrail». La scatola nera del mezzo, il sistema interno di registrazione durante la marcia, verrà esaminata solo quando si saprà che non sarà un'operazione irripetibile perché tutte le parti coinvolte possano nominare i loro periti.
Ma cosa è accaduto esattamente ad Alberto Rizzotto, l'autista del bus precipitato giù dal cavalcavia? Perché si è accostato per oltre 30 metri al vecchio guardrail appena imboccata la rampa Giorgio Rizzardi? I risultati dell'esame autoptico non saranno noti che fra qualche giorno, quando la relazione del medico legale sarà sul tavolo del pm. L'uomo, sette anni di esperienza sui bus della compagnia La Linea, da amici e colleghi ricordato come una persona corretta e pacata, andava piano e probabilmente non era nemmeno al telefono, visto che l'ultimo post su Fb è di un'ora e mezza prima del disastro, prima della partenza. Quando imbocca la rampa che porta alla tangenziale, Rizzotto viaggia a 36 chilometri orari, spiega Massimo Fiorese, ad de La Linea. È in salita e quelle 13 tonnellate dal motore elettrico arrancano. Improvvisamente, dopo aver affiancato un altro bus, Rizzotto esce lentamente dalla linea di carreggiata e percorre decine di metri rallentando fino a toccare i 6 km orari quando oltrepassa il «buco» nel guardrail, ovvero il varco di servizio lungo un metro e 50 utilizzato dai tecnici per l'ispezione della sopraelevata. Insomma Rizzotto va piano, come del resto confermano tutti i testimoni e le immagini delle telecamere, sempre più piano fino ad appoggiarsi alla protezione che, invece di contenerlo, si «accartoccia» facendolo precipitare assieme ai 35 passeggeri. «Io sono quello che nel video dell'incidente è fermo al semaforo racconta l'autista di un altro bus - L'ho visto sopraggiungere alla mia destra, poi l'ho visto cadere nel vuoto. Era sulla sua traiettoria, mi sembrava avere un moto costante. Sulla parte posteriore, a sinistra, ho visto del fumo, o qualcosa di simile».
Certo è che la barriera non era in grado di sostenere il peso del pullman, tanto che nei 6 milioni stanziati dall'amministrazione comunale per la ristrutturazione dei piloni della Vempa, è prevista la sua sostituzione. «Perché dopo decine di metri che il bus striscia lungo il guardrail - domanda Renato Boraso, assessore alla mobilità di Venezia -, non c'è una frenata e una controsterzata?». Come se il guidatore del bus accusasse un malore o avesse perso i sensi? «Sulla dinamica non mi esprimo - dice il prefetto Michele Di Bari - L'autorità giudiziaria sta conducendo indagini serrate e molto certosine.
Il nostro compito ora è rimpatriare le salme. Le istituzioni devono rappresentare la vicinanza dello Stato alle famiglie». Fra i 15 feriti, nove (8 adulti e un minore) sono nei reparti ad alta intensità di cura, 5 in chirurgia, uno in pediatria.
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