Immaginate che vostro padre sia scomparso da poche settimane. Immaginate che, nell'ultimo trentennio, egli sia stato accusato di ogni possibile nefandezza, senza che nulla poi si tramutasse in condanne penali. Immaginate ora che, nonostante la sua morte, una procura continui un'inchiesta per dimostrare che egli, se non era il capo di Cosa nostra, poco ci mancava. Dopo aver condotto questo esercizio, non ditemi che non comprendete la costernazione dei figli, dei quali la maggiore, Marina Berlusconi, ha solo osato dire: «basta». La reazione sui quotidiani di ieri è stata però degna di altri tempi, quelli in cui lo scontro tra Silvio Berlusconi e una parte dell'opinione pubblica sembrava non dover lasciare, metaforicamente si intende, prigionieri. Ma ora il Cavaliere non c'è più. La guerra è finita. Eppure l'odio continua, perché, come scrive la figlia, si vuole la «damnatio memoriae», quella pratica, tipica dell'antica Roma, per cui un personaggio scomparso doveva anche essere cancellato, come non fosse mai esistito. Qui in realtà è persino peggio: Berlusconi, per una parte del Paese, non deve essere dimenticato, ma demonizzato a lungo come esempio di male assoluto. Altrimenti non si capirebbero i commenti, in cui lo sfogo di una figlia è descritto come una zampata di «Caimana», oppure quello del presidente della Federazione della stampa, che vede nella lettera di Marina Berlusconi una minaccia contro la «libertà di stampa». Che verrebbe, tra l'altro, dalla presidente di Mondadori, cioè del più grande gruppo editoriale italiano, che in questi decenni, con Einaudi, ha pubblicato più libri critici verso Berlusconi della casa editrice del Fatto quotidiano. Reazioni così livorose ci fanno capire che, nella sua lettera, la presidente Fininvest ha colto il tema politico essenziale: la guerra dei trent'anni della giustizia, una parte del Paese desidera continuarla, investigando post mortem il Cavaliere e gettando sospetti sui figli, benché del tutto disinteressati a entrare in politica, e poi ovviamente sugli eredi politici diretti, cioè Forza Italia, e su quelli indiretti, tra cui la presidente del Consiglio. Per quanto Marina Berlusconi non alluda affatto a un «complotto della magistratura», il kombinat procure-partiti politici-media, l'alleanza micidiale per cui il neppure indagato finisce subito condannato sulle prime pagine dei giornali e messo alla gogna nei comizi e nelle aule del Parlamento, è ancora ben viva e vegeta.
Perciò, per parafrasare uno che se ne intendeva, Fouché, il ministro della Polizia di Napoleone, sarebbe ben più che un crimine, sarebbe un errore, da parte della maggioranza e del governo, lasciar cadere o edulcorare la riforma Nordio.
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