Lo studio pubblicato e, ventiquattr'ore dopo, smentito. Poi il premier che ipotizza un inasprimento delle - blande - misure in vigore, se non verranno rispettate alla lettera. Ieri l'Agenzia di sanità pubblica svedese ha ritirato il rapporto sull'andamento dei contagi da coronavirus nella capitale, Stoccolma, presentato il giorno prima durante la quotidiana conferenza stampa che anche in Svezia tiene costantemente informati i cittadini sull'evoluzione dell'epidemia. Lo studio sosteneva che il picco dei contagi in città sarebbe già passato - era stato datato al 15 aprile scorso - e che entro il prossimo 1° maggio un terzo degli abitanti della città avrebbe contratto il virus, cioè più di 300mila persone su un totale di un milione. Secondo i modelli sviluppati dai ricercatori, infatti, per ogni caso registrato ce ne sarebbero stati altri 999 nascosti. Cifre molto lontane da quelle ufficiali, che parlano in tutto il Paese di 16mila positivi e poco meno di 2mila vittime, e che per questo avevano conquistato i titoli di siti e giornali. Lo stesso giorno il capo dell'Agenzia, l'epidemiologo Anders Tegnell, aveva detto all'emittente statunitense Cnbc che «nell'area di Stoccolma è stato raggiunto il plateau e si stanno già vedendo gli effetti dell'immunità di gregge, che saranno ancora più evidenti nelle prossime settimane». Ieri, però, è arrivato il dietrofront: l'Agenzia ha ritrattato, scrivendo su Twitter di aver «scoperto un errore nel rapporto», i cui autori ora «stanno rivedendo tutto il materiale».
La strategia con cui la Svezia sta cercando di contenere la pandemia ha fatto discutere, soprattutto all'estero, perché diversa da quella intrapresa dagli altri Paesi colpiti dal virus. Le autorità di Stoccolma non hanno posto limitazioni alla libertà di movimento delle persone, come per esempio accade in Italia, ma anche in Spagna, Francia e Regno Unito: le scuole sono aperte, ristoranti e bar anche, il lavoro da casa è semplicemente incoraggiato. Si raccomanda di rimanere in casa solo a chi ha sintomi influenzali e a chi ha oltre 70 anni o fa parte di categorie a rischio. Gli unici veri divieti riguardano i raduni con più di 50 persone e le visite nelle case di riposo. Il sistema si basa, in sostanza, sulla persuasione a mantenere le distanze dagli altri ed evitare gli spostamenti non necessari, più che sulla proibizione. Il che ha permesso agli svedesi di continuare la vita di sempre, solo a un ritmo meno frenetico. Il governo svedese, dal canto suo, ha sempre smentito di aver adottato questa strada per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge, cioè una percentuale di cittadini immuni all'infezione sufficiente per proteggere anche chi, all'interno della comunità, non lo è (concetto controverso per quanto riguarda il Covid-19, mancando un vaccino e non potendo escludere che chi si è ammalato si possa ammalare di nuovo).
Eppure i numeri, per quanto inferiori rispetto a quelli registrati altrove, non sono ancora in calo. Motivo per cui ieri il primo ministro svedese Stefan Löfven ha di nuovo invitato i connazionali a essere responsabili.
Lasciando aperta la porta anche a un possibile inasprimento delle misure. «Se necessario - ha detto il premier - il governo prenderà decisioni diverse. Il pericolo non è passato. Non pensate nemmeno per un momento di aver superato questa crisi».
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