«Io sono tutto tranne che un giustizialista, ma trovo che la scarcerazione di un criminale come Giovanni Brusca sia inaccettabile, è qualcosa che lascia un senso di profonda ingiustizia che rasenta lo sgomento». Claudio Martelli ha vissuto in prima persona gli anni delle stragi mafiose da ministro della Giustizia, a stretto contatto con Giovanni Falcone nella lotta a Cosa nostra, anche con l'introduzione del carcere duro per i boss con un decreto del '92 che porta il suo nome. «Se fosse successo trent'anni fa mi sarei incatenato al ministero per protestare, ma questo è uno dei rari casi in cui il tempo non cambia la situazione, vedere oggi Brusca che esce dal carcere mi fa lo stesso identico effetto di trent'anni fa».
Quello di un'ingiustizia. Che però deriva da una legge sui cosiddetti pentiti.
«Brusca non è un pentito, è un criminale che ad un certo punto ha deciso per i suoi interessi di collaborare con i magistrati che lo interrogavano. Ha parlato e ha raccontato alcune cose. Quante, del repertorio dei suoi delitti, non è dato sapere. Ma per sua ammissione è responsabile di almeno 150 omicidi, di stragi, e io ricordo che nei casi di stragi le indagini non si possono mai prescrivere, questo significa che c'è qualcosa che non può essere superato. Ai miei tempi il ministero si chiamava di Grazia e Giustizia, Cossiga volle forzarmi a concedere la grazia a Renato Curcio, ma io dissi di no. Se fossi ancora ministro l'ultima cosa che farei è dare la grazia a Brusca, uno che si è macchiato di crimini efferati, ha ucciso bambini, giudici».
Però ha collaborato con la giustizia.
«Ma fino a che punto? La sua collaborazione è stata così fondamentale da giustificare un trattamento di riguardo? Nel '96 ha cominciato a parlare, a rate, è diventato una sorta di jukebox per cui se metti dentro uno sconto di pena lui parla. É una procedura che dà luogo ad abusi e consente al collaboratore di giustizia un grande margine di discrezionalità. Già Falcone metteva in guardia dai rapporti intimistici, così diceva lui, tra pentiti e pubblici ministeri, perché il rischio è che si crei un rapporto confidenziale in cui è il collaboratore a usare il magistrato. Se capisce cosa vuole il pm, lui glielo dà, ma non è detto che sia la verità».
Sta dicendo che i magistrati sono stati troppo indulgenti con Brusca?
«Mi piacerebbe poter valutare tutte le carte, ecco. Capire quale è il contributo che Brusca che ha dato alle indagini, e in secondo luogo quanti sconti gli sono stati concessi. La collaborazione è stata così preziosa da annullare tutti gli ergastoli che meritava? Mi sembra sproporzionato che il responsabile di una strage possa essere libero dopo 25 anni. È stato tutto perfettamente legale o c'è stata molta indulgenza, forse troppa, anche nella concessione dei permessi a Brusca, 45 giorni di libertà ogni sei mesi. E perché è stato escluso dal 41 bis? Mi chiedo se tra suoi i meriti rientrino anche le calunnie che ha fatto nei confronti di molti, tra cui Violante e me».
Va cambiata la legge, come chiedono alcuni non solo nel centrodestra?
«Il problema non è nella legge ma nella sua applicazione. A me risulta che negli Stati Uniti sugli sconti ci vadano molto prudenti e molto attenti. La tenaglia stringe solo se ha due denti: gli sconti di pena e il carcere duro. Credo che in Italia invece sia prevalente l'indulgenza».
La Consulta recentemente ha definito il carcere a vita anche per i mafiosi «incompatibile con la Costituzione».
«Ma è evidente che il crimine organizzato vada trattato in modo diverso, più severo, rispetto al crimine occasionale. La recidività, il carattere sistematico dei clan genera un pericolo sociale molto maggiore di cui il legislatore deve tenere conto. Ricordo che quando fu introdotto il 41-bis l'allora presidente Scalfaro ebbe delle riserve, ma il presidente della Corte Costituzionale mi suggerì di renderlo temporaneo.
Poi da allora è stato sempre rinnovato fino a diventare permanente, ma la Consulta non ha avuto nulla da ridire. Il doppio binario per i mafiosi va mantenuto. Brusca non è un criminale normale e non va trattato come tale».
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