Cade un altro muro dopo Hezbollah e la Siria. Gli ostaggi a casa: una vittoria per Netanyahu

Iran e Russia sempre più spaventati. Il premier verso un altro successo, quello che decreterà il trionfo di Israele

Cade un altro muro dopo Hezbollah e la Siria. Gli ostaggi a casa: una vittoria per Netanyahu
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L'odierna trattativa, forse definitiva o forse ancora in fieri, per il rilascio degli ostaggi è significativa e importante come la subitanea caduta del regime di Assad, come il crollo di Hamas e degli Hezbollah; è un altro muro che cade nel fronte feroce e determinato alla distruzione dello Stato d'Israele. Mentre quel muro si sgretola, sullo sfondo l'Iran e la Russia siedono sempre più spaventati. L'inviato di Trump per i rapiti, Adam Boehler, è in zona; Biden, ha detto che sa che le cose vanno avanti. Al Cairo o no, le parti si incontrano concitate e parlano fitto. È la migliore maniera per Netanyahu di spiegare, una volta per tutte al mondo, come la sua guerra cerchi una vittoria vera, che sia tale per tutti, in primo piano la gente di Israele, e che figuri un Medioriente bonificato dai terroristi ormai sconfitti.

Su Netanyahu è stato scritto che la sua scelta di combattere Hamas, senza accettare diktat americani, e poi gli Hezbollah non aveva sfondo strategico, era la sua risposta dura al 7 ottobre. O peggio ancora, che era una maniera di proteggere la propria coalizione con la guerra. Netanyahu ha collezionato senza piegarsi le peggiori critiche, senza deflettere da quello che alla fine si è disegnato come un quadro strategico: ma manca un punto principale, la seconda puntata dei rapiti riportati a casa. Anche l'Iran è lo sfondo strategico indispensabile: ma i rapiti sono un pezzo di cuore del popolo ebraico, una riparazione per il futuro ferito d'Israele; in più c'è l'aspetto politico, la durissima opposizione a Bibi nel chiedergli uno scambio senza condizioni mentre si alleava con le famiglie disperate ha indebolito la trattativa rafforzando il ricatto, giorno dopo giorno. È adesso che da una posizione di sicurezza sul campo di battaglia Netanyahu può trattare, cedere sul numero dei prigionieri terroristi senza però lasciare le vie di controllo Filadelfia e di Katzerin, così che Hamas non si riformi come sa e come vuole fare. Le famiglie seguitano a chiedere la restituzioni di tutti insieme, la destra che non si liberino i terroristi: Netanyahu andrà per la sua strada, Hamas è più morbido dopo la minaccia di Trump di distruggerlo se non restituisce gli ostaggi prima del 20 gennaio; Israele è molto più forte. Bibi torna da vincitore nella storia, anche se quando i rapiti torneranno a casa seguiterà l'interminabile infinito scontro in Israele fra destra e sinistra. Ma bisogna essere davvero cinici per criticare il premier, come fa la stampa che gli dà la caccia tutti i giorni, per aver chiesto licenza ieri dalle sei ore in tribunale dove lo si interroga tre giorni a settimana sui regali di sigari e sulla captatio benevolentiae giornalistica. Ma adesso è lui, di nuovo, che tesse gli ultimi particolari di un possibile accordo senza rese, generoso ma prudente. I rapiti sono amati uno a uno: ciascuno ha un nome più noto di quello di una star, un volto, tutta la gente di Israele ne riconosce le fattezze, Oded che ha 84 anni, Liri che ne ha 19, Romi, Segev, e Kfir, cuore di ognuno, che ha compiuto ormai da tempo un anno nelle mani dei torturatori e aguzzini.

Ha ragione la massa delle famiglie che ha ripetuto che senza di loro nessuna vittoria è vittoria, che la guerra la vince solo il loro ritorno a casa, perché è regola di Israele, e solo di Israele, di non lasciare mai nessuno indietro.

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