"Cafiero, Striano, gli altri. E c'era chi li autorizzava"

Intervista all'ex ministro Claudio Scajola, mandato a processo dai protagonisti di Dossieropoli. "Inchieste per mettersi in evidenza". E ancora: "Nell'indagine del 2014 contro di me ci fu il misterioso suicidio del colonnello Pace"

"Cafiero, Striano, gli altri. E c'era chi li autorizzava"

«Il momento più difficile della mia vita? Quel giorno di maggio del 2014 quando arrivarono dei poliziotti e mi arrestarono. Mi misero in una piccola cella, solo, senza poter vedere i miei familiari e nemmeno gli avvocati. Isolamento per sei giorni. Terribile. Poi altri 30 giorni a Regina Coeli prima di ottenere i domiciliari. Sono stato trattato come uno dei peggiori criminali. Dicevano che avevo organizzato una associazione segreta, una cosa assurda. Il processo è ancora in corso. Sono stato l'altro giorno a Reggio ad assistere a un'udienza. Accuse crollate. Si limitano a sostenere, senza neanche una pezza d'appoggio, che avrei aiutato l'imprenditore e parlamentare Amedeo Matacena a non essere arrestato».

Chi parla è Claudio Scajola. Politico di lungo corso, è stato uno dei pilastri del berlusconismo, più volte ministro e coordinatore nazionale di Forza Italia. Oggi ha 76 anni ed è l'acclamatissimo sindaco di Imperia. Ha subìto una decina di processi prima di questo. Assolto o archiviato tutte le volte.

Parliamo della questione dossier...

«Risulta evidente che il problema non è il caso isolato di una persona che ha avuto comportamenti sicuramente illeciti e di gravità assoluta. È chiaro che c'era la possibilità di fare le cose che ha fatto il luogotenente Striano e quelle cose le facevano in tanti, credo, e in diversi modi. Ma poi c'era chi permetteva che venissero fatte, se non addirittura le autorizzava».

La sua vicenda processuale ha a che fare col dossieraggio di Striano?

«Il Procuratore della Repubblica di Reggio che ha proceduto contro di me era Cafiero De Raho, persona di cui si parla molto in questi giorni a proposito dell'inchiesta sui dossier. E so che nell'inchiesta che mi riguarda il finanziere Striano è stato un protagonista, tanto è vero che è stato audito quattro volte durante il processo».

Mi parli di questo processo.

«Le dico come è partito: con una conferenza stampa che sosteneva la tesi, esposta da Cafiero De Raho, che esistesse una cupola che collegava ndrangheta, politica e massoneria. Poi, nel corso del processo, in questi quattro anni, questa tesi è crollata miseramente».

Sospetta che l'inchiesta più che a fare giustizia servisse a fare la conferenza stampa e a mettersi fortemente in evidenza? «Beh, non sarebbe un caso isolato. Molte inchieste vanno così».

Chi è Pasquale Striano, l'ufficiale della Finanza re dei dossier? Si è fatto una idea?

«No, non mi son fatto una idea. Ho paura che sia uno dei tanti».

Cosa l'ha colpita in questa vicenda?

«Mi ha colpito il ricordo che Striano aveva un ruolo nell'inchiesta del 2014 contro di me e che in quella inchiesta ci fu il mistero della morte del colonnello Pace, che si suicidò».

Cosa la lasciò perplesso di quella morte?

«Che il colonnello si suicidò pochi giorni prima della deposizione al mio processo. E solo due giorni prima di suicidarsi era stato ad acquistare il vestito per la comunione del figlio. Ora io non voglio fare supposizioni, però lei ammetterà che è una faccenda un po' strana».

Ma Striano secondo lei poteva agire da solo?

«Non so se ricevesse direttive, sicuramente non agiva da solo. Ed è un sistema che funziona in parecchie realtà del nostro paese».

Nel processo che sta sostenendo di cosa la accusano?

«Procurata inosservanza di pena. L'altra sera hanno parlato due grandi avvocate: Busuito e Morello. E hanno affrontato il merito e il diritto e dimostrato che questo processo non doveva neanche iniziare, perché non c'è stato nulla di illecito. Nulla. Tempo perso che ha portato sofferenza, discredito».

Errori giudiziari o qualcosa di più?

«Io dico questo: quando si colpisce un avversario politico c'è qualcuno che ne gode. Così nasce un meccanismo perverso dove la giustizia non c'è più».

È una caratteristica di questi tempi?

«No è antica. Il primo caso fu il caso Piccioni. Anni 50. Il numero due della Dc, erede di De Gasperi, messo fuorigioco con accuse false al figlio. Poi alla fine degli anni 60 il caso Ippolito. Uno scienziato e un nuclearista. Anche lui perseguitato, annientato e poi assolto. Non potrò mai scordare il consiglio da amico che mi diede Napolitano. Mi disse: Attento Scajola quando ti occupi di energia. Se sbagli, se pesti i piedi, ti annientano. Il mio amico Ippolito, personaggio fantastico, fu abbattuto da una congiura. E poi naturalmente posso parlarne finché vuole dell'accanimento giudiziario contro Berlusconi».

I giornalisti che ruolo giocano nel campo della giustizia?

«Diventano uno strumento del potere intoccabile di alcuni magistrati. C'è una categoria speciale di giornalisti: quelli che frequentano le procure e si fanno sottomettere. Diventano loro gli esecutori della pena. Non conta più in un processo la sentenza o la Cassazione, ma conta il processo di popolo che si fa con gli avvisi di garanzia, gli arresti e i giornali. Si è completamente ribaltato il concetto di giustizia».

Però non sono riusciti ad annientarla, anche politicamente, come hanno fatto con molti altri. Lei è stato eletto e rieletto sindaco di Imperia con percentuali altissime.

«Ho voluto candidarmi nella mia città perché nelle città come Imperia, non grandissime, ci si conosce tutti e tutti conoscono vizi e virtù delle persone pubbliche. E allora ho deciso che sarebbe stata la mia gente a giudicarmi. Mi sono sottoposto al voto senza l'aiuto di nessun partito. I cittadini mi hanno tributato un vasto consenso».

Lei è stato un democristiano di razza. Si sente ancora democristiano?

«Ho avuto una giovinezza democristiana. Molto democristiana. Ma la mia vita politica matura l'ho fatta accanto a Berlusconi in Forza Italia. Era un partito aperto, forte nel territorio, che includeva. Era un partito popolare, garantista, riformista, europeista. Fu un miracolo che ci portò nel 2001 ad avere una grande vittoria, fondata sulla incredibile personalità di Berlusconi. Poi c'è stata una fase di crisi dovuta anche ai colpi giudiziari inferti a Berlusconi. Adesso vedo con piacere che Tajani si sta muovendo per ritornare alle origini e alla storia gloriosa. Io spero molto in questo nuovo corso di Tajani».

Cosa ha rappresentato Berlusconi per lei?

«Un amico, un esempio, una persona buona e una persona geniale. Di lui ce ne è uno ogni cent'anni».

Mi dice qualcosa dello scandalo famoso della casa al Colosseo?

«È stata la vicenda che mi ha bollato per sempre. Un caso organizzato. Mi dimisi da ministro senza avere avuto neppure un avviso di garanzia. Il processo fu un processo giornalistico. Quando il mio avvocato andò a Perugia e parlò col procuratore, il Procuratore gli chiese: Ma perché Scajola si è dimesso?».

Allora perché si dimise?

«Mi sembrava che fosse un gesto corretto e invece passò per ammissione di colpevolezza. L'inchiesta fu chiusa da Perugia e poi riaperta da Roma. E io prima mi arrabbiai e poi invece ne fui felice. Il processo durò due anni e si concluse dandomi ragione definitivamente. Ma ormai ero condannato dal processo mediatico».

Perché la colpirono?

«(ride ndr) Perché non avevo dato retta a Napolitano e avevo toccato temi sensibili».

Il carcere per l'affare Matacena l'ha segnata per sempre?

«Non ho rancori. L'altra sera ero in aereo per andare a Reggio Calabria al mio processo. A un certo punto sento una persona che mi chiama: «Buonasera onorevole, dove va?».

Chi era?

«Era il Pm Lombardo».

Lei cosa gli ha detto?

«Sto andando a Reggio Calabria per quel processo inesistente che lei ha messo su insieme al Procuratore Cafiero De Raho. E gli ho chiesto: Ma i due pentiti che avete tirato fuori durante il processo, e che poi lei stesso ha eliminato perché erano inattendibili, che fine hanno fatto? Mi dica, a che punto è l'inchiesta per capire perché questi mi accusavano?»

Lombardo le ha risposto?

«Sì, mi ha detto: Io non glielo posso dire. Faccia richiesta formale».

Se potesse fare una riforma della giustizia qual è il primo provvedimento che prenderebbe?

«Io dico che in un sistema democratico non possono esistere dei poteri formidabili, che arrivano a poter privare le persone della libertà, e che non siano fortemente controllati in modo democratico. Questo è molto più importante della divisione delle carriere».

Scajola, lei è sereno?

«Sì e dicono che dimostro molti meno anni di quelli che ho...».

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