Poggiomarino (Napoli), 9 giugno 2018-2 giugno 2021. Tre anni quasi esatti e di esatto in questa storia non c'è nulla. La prima è la data della morte di Rocco Perrino, 24 anni: una caduta in bicicletta, la corsa in ospedale e i soccorsi inutili. La seconda, ieri, è la data della morte di suo fratello Giuseppe, 29 anni, entrato in campo per una partita di calcio in memoria dello scomparso Rocco. Si è accasciato sull'erba, e nemmeno per lui c'è stato nulla da fare. Gli amici attorno, attoniti, le manovre, la disperazione. È morto su quello stesso campo addobbato in onore del fratello. Ci sarà entrato col cuore già pesante e poi il cuore si è fermato del tutto. Tre anni e sette giorni: questo il tempo per portarseli via entrambi.
Era un calciatore Giuseppe, un centrocampista, di quelli che cuciono il gioco e fanno «girare» la squadra, che pensano e si muovono perché tutti arrivino dove devono arrivare. Cresciuto nelle giovanili del Parma e poi una lunga militanza nelle serie minori tra Campania e Calabria. Ha giocato anche in Lega Pro con l'Ebolitana. E ha vestito la casacca della nazionale under 21 di Lega Pro in diverse occasioni e anche nel torneo di Dubai del 2011. Poi una carriera tra terza divisione e serie D con Sapri, Bellaria, Vigor Lamezia, Battipagliese, Scafatese, Turris, Real Poggiomarino, Pimonte e Solofra.
Ieri avrebbe dovuto essere tutto fuorché una sfida. Giocava per suo fratello, con suo fratello, in qualche modo. Non era la stessa adrenalina delle altre partite ma era anche di più, non era la stessa rabbia ma era anche peggio.
Dopo la morte di Rocco, al dolore si aggiunse dolore. Ci furono strascichi giudiziari perché la famiglia denunciò medici e infermieri dell'ospedale di Sarno (Salerno) dove il ragazzo fu trasportato. L'atroce sospetto che potesse andare tutto diversamente tormentava i genitori e forse ancora anche lui, che era «quello rimasto». Le tragedie cambiano tutto: gli affetti, gli equilibri, le dinamiche su cui si erano costruite le cose, i ritmi, gli sguardi che ci si scambia e il modo in cui ce li si scambia. Perché dentro a ognuno deve trovar posto chi non c'è più. Nessuno si era ripreso dalla morte di Rocco, perché nessuno si riprende da una cosa così. E adesso un'altra volta senza pace e senza più nulla, in realtà.
Anche per Giuseppe c'è ancora da capire, da chiedere, da ricostruire: la salma potrebbe essere sequestrata perché i familiari vogliono conoscere le cause della morte che, secondo i medici intervenuti, sarebbe dovuta a un arresto cardiocircolatorio. Senza pace, appunto.
Un'altra volta. Un altro figlio da seppellire e la voglia di cercare una ragione, di trovare un motivo, anche stavolta, almeno stavolta. Tre anni e sette giorni tesi tra due fini. La bici e il pallone che sono cose con le quali di solito i ventenni giocano e ridono e vivono. Sono le cose con cui i genitori si sentono al sicuro perché di solito, chi fa certe scelte, non ne fa altre.
Due modi di consumare bene se stessi. E invece «qualcosa» ha fatto la scelta peggiore per loro, per entrambi. E si può cercare di chiamarlo in tanti modi, cercare di dargli un nome ad ogni costo. Ma, purtroppo, non restituisce nulla comunque.
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