Norberto De Angelis, classe 1964, è un marcantonio alto un metro e ottantacinque per 103 chili di muscoli che già a vent'anni aveva vinto un titolo italiano di football americano con i Bobcats di Parma. Norberto da sempre è un uomo di sport ed ha sempre amato le sfide, anche quelle apparentemente impossibili. Con i leggendari Seamen di Milano nel 1987 ha giocato un superbowl italiano e sempre in quell'anno a soli ventitré anni fu titolare della nazionale italiana con cui ha giocato e vinto gli Europei a Helsinki stabilendo il record dei placcaggi: «17 single tackles».
Lo sport insomma è sempre stato il faro che ha guidato la vita di questo guerriero piacentino. Ma l'indole di Norberto è sempre stata quella di poter aiutare chi, nella vita, è stato più sfortunato di lui e chi non ha avuto la possibilità di nascere e crescere da privilegiato in una famiglia benestante e con una fisicità che gli permetteva qualsiasi cosa. Così, mentre calcava con successo i campi internazionali di football, Norberto cominciò a impegnarsi, assieme con una Ong di Bologna, contro la fame in Africa.
Le missioni di Norberto non si limitavano a portare cibo e alimenti ma cercavano di educare le popolazioni locali a coltivare verdure e creare allevamenti animali capaci di garantirgli una sopravvivenza autonoma. Un destino crudele però volle ancora una volta mettere a dura prova non semplicemente la sua potenza fisica ma anche, e soprattutto, la sua forza morale. Era il 1992, quando durante una missione in Tanzania, mentre viaggiava con altre tre persone sulla Jeep, guidata da un amico, uscì di strada. Apparentemente un banale incidente che lasciò illesi tutti tranne Norberto che, catapultato fuori dall'auto si ruppe la schiena. Due mesi in coma.
Il racconto di De Angelis si ferma a qualche attimo prima. Non ricorda nulla di quegli attimi terribili che hanno seguito l'incidente. Lui si svegliò nell'ospedale di Parma. Quando tentò di alzarsi sentì le gambe come morte: non rispondevano più. Era paralizzato, il campione non poteva più camminare. Non furono anni facili. Avrebbe dovuto cominciare a ridisegnare la propria vita partendo da un punto di vista non semplicemente nuovo ma inaspettato. E durissimo da accettare per uno che come lui che aveva fatto della competizione sportiva e della solidarietà nei paesi Africani il faro della propria vita. Come ripartire? La risposta: dalla mente, dalle radici sane dell'animo, più forte del corpo.
Lentamente Norberto comprende che- come racconta lui stesso- «anche un operaio che non arriva alla fine del mese è un diversamente abile». Ognuno di noi ha abilità maggiori o minori secondo cosa la vita gli serba.
Così De Angelis, figlio di un generale oggi in pensione, recupera lentamente il bandolo della matassa della propria vita ma non ricominciando da capo ma guardandola con una prospettiva differente. Così se sia lo sport sia il volontariato erano i suoi motivi di vita prima dell'incidente, lo rimangono anche adesso dopo la tragedia. La prima e la seconda. Nel 2007 gli venne, infatti, diagnosticato un tumore maligno. Lo operarono e Norberto ricominciò ancora comprendendo sempre di più che il messaggio benefico non è dato dalla conquista di una medaglia ma dalle logiche sane che governano le sfide. Quelle dello sport e della vita. Nel 2012 diventò De Angelis, a dispetto della malattia, conquistò il titolo di campione italiano di pesistica paraolimpica, avendo così la possibilità di vestire, dopo venticinque anni la maglia della nazionale.
Già nel 2008 riguardando il film «Forrest Gump» a Norberto era venuta un'illuminazione: una sfida nella sfida. Lui paraplegico decise di sfidare e percorrere i 3798 chilometri della storica Rute 66 con una handbike in solitaria. Per quindici mesi Norberto non fece altro che allenarsi per l'impresa. La sfida come unico obiettivo, il paradigma della sua vita. «Tutto ciò che non ho osato ho sicuramente perso», sentenzia. Allenamenti estenuanti che lo portano il 25 aprile del 2009 a partire per l'America per sfidare il suo sogno. Un sogno che il 28 aprile prende il via da Chicago per solcare quella storica strada che John Steinbeck nel libro «The grapes of wrath» (Furore) chiamerà «la strada madre».
Così Norberto De Angelis in ottanta giorni, a una media di quasi sessanta chilometri al giorno, compie la sua formidabile avventura arrivando il 16 luglio del 2009 a Santa Monica.
Oggi Norberto continua le sue missioni in Africa come quasi 30 anni fa e quotidianamente e insegna sport sognando altre avventure che siano in grado di fare capire a tutti che, come dice lui «la paura di perdere toglie la volontà di vincere».Twitter: @terzigio
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