Canna di fucile e resistenza: elogio del bigio

Pensare il bigio - che termine offensivo! - come simbolo della senilità, dell'impersonalità, della mestizia e della mancanza di coraggio è cosa banale

Canna di fucile e resistenza: elogio del bigio
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Il fatto che la variopinta crociata contro il grigio sia stata lanciata dalla casa automobilistica che non ha avvertito un brivido di vergogna nel lanciare sul mercato certe abiezioni estetiche come la Duna o la Multipla, basterebbe da solo a farci parteggiare tutti per il colore più elegante di sempre, con buona pace per le giacche lisergiche di Lapo Elkann.

Però, siccome cocente è l'indignazione degli alfieri del piombo, del fumo di Londra e dell'argento, urge qui rivendicare la supremazia morale del non-colore più elegante del creato.

Pensare il bigio - che termine offensivo! - come simbolo della senilità, dell'impersonalità, della mestizia e della mancanza di coraggio è cosa banale. Dicono loro, gli arlecchineschi giullari del fluo e del pastello: grigia è la noia e l'omologazione, grigio è il cemento, lo smog; grigio il metallo delle pallottole, grigia la nebbia. Ora, a parte che la nebbia è magia che toglie alla vista per regalare alla fantasia, queste sono considerazioni adolescenziali. A meno che la strategia cromatica industriale del Lingotto non la decidano gli autori della Smemoranda, forse è il caso di ricordare che, come argutamente scritto nell'omonimo libro di Peter Sloterdijk, il grigio è il colore della modernità.

Sì perché il grigio è tutto tranne che monotonia. Le sfumature sono ben più delle erotiche cinquanta del romanzetto di moda qualche anno fa. La brizzolata varietà di toni e umori del grigio è infinita e nasconde migliaia di significati. Il grigio è la sospensione del giudizio in un tempo di decisioni prese d'impulso senza pensare, è la neutralità ponderata nell'era degli eccessi, la mediazione fisiologica tra gli estremi. Non per nulla è l'abbraccio di bianco e nero, la moderazione fruttuosa invece dell'opposizione conflittuale.

In quest'ottica, il grigio è il colore del coraggio. È la ribellione a un mondo sguaiato che ti obbliga ad esibire un colore e a combattere per la sua vittoria. È il rifiuto della sovraesposizione, della mitomania sventolata. È il prendere tempo, il soppesare pro e contro, è la scelta di un sano e consapevole understatement presa da chi sa che il suo carattere - e il suo valore - non si misura con il RAL. Perché il grigio è la vita più autentica, è la maschera che ci consente di essere noi stessi altrove, più in profondità, dove conta, e non solo sulla superficie dell'apparenza.

C'è una zona grigia (ma pensa...) della nostra anima in cui la voglia di apparire e di attrarre fa pace con la necessità di indifferenza nel senso più filosofico del termine. In quel luogo intimo - ce lo immaginiamo discretamente piastrellato di ardesia - noi siamo noi stessi senza sovrastrutture, passionali pur senza rossetti scarlatti e irresistibilmente divertenti anche in doppiopetto cinerino.

Lì non hanno giurisdizione gli armocromisti emotivi con la passione per il fucsia né i direttori marketing che strizzano l'occhio al giovanilismo iridescente. E lì, soprattutto, si può ancora essere orgogliosi proprietari di un'auto grigio canna di fucile. Eminenze grigie, uniamoci. Altrimenti, l'autolavaggio ogni due giorni ce lo pagano loro.

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