L'Ilva è in bolletta e senza fornitore di gas. Se la più grande acciaieria d'Italia, controllata dallo Stato, che da sola consuma il 2% del metano, non ha ancora trovato chi potrà fornirle il gas che le serve chissà come faranno le famiglie italiane alle prime bollette. Come denuncia da settimane il Giornale in giro la crisi del prezzo del gas sta per mandare ko i piccoli (ri)venditori. L'allarme lanciato anche dall'Autorità del settore Arera si manifesterà tra dicembre e gennaio, tradizionalmente i mesi più freddi, in cui si passerà da 170 milioni di metri cubi di consumo medio a oltre 400 milioni. D'altronde, le cifre che gli italiani si vedono proporre per cambiare gestore sono folli: «Cinquanta cent per un Kwh di energia e 2,4 euro per un metro cubo standard significa bollette da 150 euro al mese di luce e di 320 euro al mese di gas. Una doccia può arrivare a costare 1,5 euro», spiega l'esperto di energia Edoardo Beltrame.
Eni ha fatto sapere che non ha intenzione di rinnovare il contratto con l'Ilva, scaduto il 30 settembre scorso e prorogato solo di un mese: «Abbiamo dovuto valutare con la massima prudenza il nostro impegno sulle forniture di gas per l'anno termico 2022/23», dice il cane a sei zampe, che con Ilva avrebbe un debito di 285 milioni di euro di bollette insolute. Se il presidente di Acciaierie d'Italia Franco Bernabè - paradossalmente ex ad della società (pubblica) che gli ha chiuso i rubinetti - non trovasse un altro fornitore, visto che le bollette sono passate «da venti a cento milioni di euro al mese» l'Ilva finirebbe in «ultima istanza». Cosa vuol dire? Che all'Ilva verrebbe destinata una parte importantissima degli stoccaggi riempiti al 93%, a occhio circa 1,3 miliardi di metri cubi. Anche se avesse problemi a pagare, visto che l'Ilva dovrebbe rientrare nelle società energivore alle quali la fornitura va sempre garantita. Ma chi deciderà quanto gas va e a chi? Il dossier è già sul tavolo del prossimo governo.
Certo, l'Ilva è in bolletta per la mala gestio che ha ereditato Bernabè (in predicato di diventare ministro, anche se lui dice che non l'ha chiamato nessuno...) e di cui si è lamentato qualche giorno: «Fino ad ora devo dire che Acciaierie sono state gestite in una situazione che in tanti anni di esperienza non ho mai visto: senza accesso al credito bancario e senza finanziamenti degli azionisti. È stata abbandonata per sette anni, gestita da due commercialisti e un avvocato. Come ha potuto sopravvivere un'azienda in queste condizioni?». Ma se l'Ilva è senza soldi la colpa è anche del governo guidato da Mario Draghi, molto legato a Bernabè, che non ha ancora fatto partire il bonifico da 700 milioni di euro promessi da Palazzo Chigi con il decreto Aiuti bis alla newco nata dall'alleanza di Arcelor Mittal e Invitalia.
Ma riconvertire quel che resta dell'acciaieria di Taranto sembra sempre di più un miraggio, oggi l'Ilva rischia il tracollo: la querelle giudiziaria sul sequestro degli impianti va avanti da mesi, la produzione è ai minimi storici, quasi 5mila addetti sono in cassa integrazione. Bernabè rassicura: «Stiamo lavorando ad una diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas per tutelare la continuità produttiva». Ma con le rinnovabili non si tiene accesa l'Ilva.
E infatti è proprio sulla transizione ecologica troppo «frettolosa», che secondo Bernabè «creerà problemi giganteschi in interi settori industriali», che l'ex manager Eni lancia un appello alla prossima maggioranza, invitandola a «rivedere, o quanto meno a ritardare» la decarbonizzazione. Saranno contenti gli ambientalisti...
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