Reagenti scaduti, materiali per i tamponi mal conservati e tecnici di laboratorio abusivi. Le irregolarità riscontrate dai Nas nei centri di analisi anti Covid sono parecchie. Ma ce n'è una che fa male più delle altre: anche nel momento in cui un paziente risultava positivo alle analisi, il suo nome non veniva nemmeno comunicato all'Ats e non finiva nei bollettini ufficiali sull'andamento della pandemia. Quella mancata comunicazione affidava al buon senso del singolo cittadino la scelta di isolarsi in quarantena fiduciaria o no. Insomma, può anche darsi che questa sciatteria nella gestione dei dati abbia contribuito a far lievitare i contagi. «L'omessa o ritardata comunicazione dei casi di positività è il 14% delle sanzioni rilevate - spiegano i Nas - Un'inosservanza di particolare gravità per la perdita di informazioni utili alla corretta e tempestiva tracciatura di casi».
«Sono inammissibili le irregolarità che hanno un impatto immediato sulla salute dei cittadini e della collettività» commenta il ministro della Salute Roberto Speranza applaudendo il lavoro dei Carabinieri.
I problemi con i tamponi ci sono stati fin dall'inizio della pandemia: da subito ci siamo trovati a fare i conti con la mancanza di reagenti, con i laboratori sommersi da una quantità abnorme di richieste, con i sistemi e i data base andati in tilt, con comunicazioni di «esito positivo» a persone che nemmeno si erano sottoposte al test. Ma i laboratori «dolosi» ispezionati dai Nas ci raccontano di altre ombre nell'organizzazione diagnostica: di fatto esiste una lista di «contagi fantasma» che, salvo complicazioni da ricovero in ospedale, sono rimaste nel più confuso sottobosco. Invisibili alle statistiche e al sistema sanitario nazionale.
Nel corso dell'ultima settimana i carabinieri del Nas hanno ispezionato 285 aziende e laboratori di analisi, privati e convenzionati ed altre strutture operanti nel commercio e nell'erogazione di test di analisi molecolari, antigeniche e sierologiche. Da Cremona a Catania, dall'Aquila a Reggio Calabria. In un caso su quattro sono state riscontrate irregolarità, soprattutto al Sud.
Le ispezioni, condotte su scala nazionale, hanno rilevato pratiche non a norma in 67 centri (il 23,5% di quelli controllati): 94 le violazioni penali ed amministrative, per un ammontare di 145mila euro di sanzioni pecuniarie. Tra le irregolarità più frequenti è stato rilevato il mancato possesso dell'autorizzazione a fare tamponi, svolti abusivamente e in ambienti non idonei (15% delle violazioni contestate). Sono state inoltre accertate la mancata predisposizione ed attuazione di piani e protocolli preventivi all'interno delle cliniche, come la carenza di procedure gestionali, di prodotti igienizzanti e di sanificazione dei locali (11%) e di requisiti tecnici e professionali nell'esecuzione degli accertamenti diagnostici, riscontrando in 6 episodi, a vario titolo, l'assenza di tecnici di laboratorio abilitati e l'uso di reagenti e diagnostici scaduti, comunque impiegati per effettuare le analisi.
I carabinieri stanno anche indagando sui prezzi gonfiati dei tamponi, un po' come già accaduto lo scorso marzo con le mascherine.
Sono stati venduti al dettaglio ai clienti, nelle farmacie o addirittura in erboristeria e profumeria, kit di analisi sierologiche anticorpali destinati al solo uso professionale sanitario e non adatti all'autodiagnosi. Da qui il sequestro di 153 tra kit di diagnosi e dispositivi medici irregolarmente detenuti per la vendita al dettaglio o per l'effettuazione di analisi.
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